Le origini classiche – La storia degli studi

Ultima modifica 5 maggio 2020

Testo di Sergio Natale Maglio - © Tutti i diritti riservati

Nonostante tutte queste indiscutibili prove archeologiche non esistono in età classica testimonianze documentarie certe che riguardino il centro mottolese. Invero, la prima annotazione del nome Motola su un documento storico appare solo nell'VIII secolo d.C., in età longobarda.
Le ipotesi sulla sua origine e fondazione, basate quasi tutte sull'analisi etimologica del toponimo della città, si sono sprecate a partire da XVI secolo fino ad oggi.  
Fino al XIX secolo il campo si divideva principalmente tra i sostenitori della origine romana - convinti della presunta denominazione originaria di Metella, che dimostrerebbe la sua fondazione ad opera di Caio Metello, proconsole romano della Japigia (Jacopo Antonio Ferrari, Marino Frezza, Luigi Tasselli) e, dall'altra parte, gli assertori della origine greca, sulla scia di Gerolamo Marciano, il quale sosteneva essere Meteora, "sita in monte", il nome originario della città.
Sul finire del XIX secolo Marco Lupo  avanzò la ipotesi di una origine italica, precedente all'avvento dei coloni spartani che fondarono Taranto nell'VIII secolo a. C. L'idea di una fondazione japigia dell'insediamento fortificato sulla collina venne ripresa nel 1906 da Massimiliano Mayer, insigne studioso della civiltà peuceta e fondatore del Museo Archeologico di Bari. Egli sostenne che l'odierno nome Mottola potesse rappresentare l'evoluzione moderna di Motula, centro che doveva essere stato tra le più importanti fortezze della Iapigia, richiamando il nome della metropoli originaria dei Giapidi, Metulum, ricordata da Strabone. Gli Iapodi o Giapidi era una delle popolazioni illiriche che si riteneva avessero occupato la Puglia nel XII-XI secolo a. C. e che provenivano dalla Dalmazia settentrionale, nei pressi della penisola istriana.
Lo stesso Mayer intese colmare il vuoto di documentazione sulla esistenza della città nel periodo classico, attraverso la rilettura e l'interpretazione dei passi di alcune opere di Orazio e di Virgilio, risalenti al I secolo a. C.  Il poeta venosino si sarebbe riferito a Mottola in un passo del libro secondo delle Odi (VI, 21), cantando "...il fiume Galeso, diletto alle lanute greggi, e ... le campagne, su cui regna lo spartano Filanto. Quel cantuccio a me sorride sopra ogni altro della terra, dove il miele non è inferiore a quello dell'Imetto, e l'oliva gareggia con l'oliva di Venafro; dove Giove concede lunghe primavere e miti inverni, e l'Aulone caro a Bacco che fa prosperare le viti, nulla ha da invidiare ai vigneti del Falerno. Quel paese e quelle colline ridenti ci richiamano insieme colà...". Il riferimento a Mottola, secondo Mayer, sarebbe proprio nelle beatae arces, le colline ridenti del canto oraziano, anche perché arx  può anche essere tradotto “rocca”, “altura fortificata”.
Così pure, egli riteneva che il passo delle Georgiche (IV, 125) di Virgilio, che cita "... le torri, ..., della rocca ebalia, ove cupo irriga biondeggianti coltivi il Galeso ...", potesse riferirsi in quella arx Oebalia alla altura fortificata mottolese, vera e propria fortezza imprendibile a protezione di Taranto.
Negli anni ’30 vi furono altri contributi allo studio della questione delle antiche origini di Mottola. Giovanni Colella riprese le tesi del Mayer, facendo rilevare che il nome Mottola ha la stessa base mediterranea mata (altura, monte) dell’illirico Metulum. Da parte sua Hans Philipp, nella prestigiosa Paulys Realencyclopadie der classichen Altertums-Wissenschaft ritenne che Plinio il Vecchio si riferisse agli abitatori della antica Mottola, quando nella Naturalis Historia (3,105) citava i Mateolani  in un elenco di popolazioni apule.
Secondo altri autori, invece, la città apula dei Mateolani del primo secolo d.C. sarebbe identificabile con l'attuale Matera. Tra questi Vito Antonio Sirago, il quale ipotizzò  che l’antica Mottola potesse essere identificabile con il fortilizio peuceta di Tropion, prossimo alla grande città di Monte Sannace, ricordato da Tito Livio nella Ab Urbe condita (X,2) per la sua occupazione da parte del condottiero spartano Cleonimo, alla fine del IV secolo a.C.
Mottola e Matera si contendono da tempo la definizione di patria dei Mateolani. Recentemente lo studioso Giovanni Ricciardi ha pubblicato alcune monete del periodo repubblicano romano, della zecca della antica città di Mateola o Mateolum. Egli non si trova d’accordo con il numismatico inglese Keith N. Rutter dell'Università di Edimburgo, secondo il quale  “il monogramma MAT possa essere riferito non a Mateola (Matera) ma a Mateolum? (Mottola?), perché il nome Matera è di origine medievale e deriva dalla parola Materia”. Di contro Ricciardi  osserva che “le monete con il monogramma MAT provengono da aree archeologiche nei dintorni di Matera e non risultano notizie di monete rinvenute nei pressi di Mottola. Inoltre nei toponimi latini Metapontum (Metaponto), Tarentum (Taranto) e Grumentum (Grumento) la desinenza “um”, preceduta da una consonante, si è trasformata in "o", pertanto Matera non può derivare da Mateolum. Lo stesso dicasi per Mottola che ha pure una radice diversa e deriva dalla forma medievale Motula, diminutivo di Motta (altura). Pertanto la parola Mateola sarebbe diventata prima Materia e poi Matera conservando la desinenza "a" come Genusia (Ginosa), Luceria (Lucera) e Venusia (Venosa)”.
L'interessante dibattito continua.