La “vita in grotta” in Italia

Ultima modifica 7 maggio 2020

Testo di Sergio Natale Maglio - © Tutti i diritti riservati

Un paio di storici del I secolo a.C. ci hanno tramandato resoconti leggendari su antichissime popolazioni trogloditiche stanziate in Italia. Il primo di essi, Strabone, aveva ripreso nella sua Geografia quanto aveva scritto uno storico del IV sec. a.C., Eforo, secondo il quale nel territorio di Cuma e del lago di Averno, prima che la città venisse fondata nell’VIII secolo, abitavano i Cimmeri, popolazione di minatori che viveva sotto terra, in case sotterranee chiamate argillae.
Da parte sua, Diodoro Siculo, nella Biblioteca Historica, ricordava gli Iolei o Iolaensi, discendenti dei Tespiadi greci, a lungo signori della Sardegna, i quali erano stati cacciati dalle loro amenissime pianure in seguito all’arrivo nel VI secolo a.C. dei Cartaginesi, che si erano impadroniti dell’isola. Di conseguenza, gli Iolei si erano rifugiati nelle regioni montane nel nord est dell’isola, dedicandosi alla pastorizia e abitando in dimore sotterranee e in gallerie. Così, grazie alla inaccessibilità delle loro dimore,  avevano conservato la libertà, impedendo prima ai Cartaginesi e poi ai Romani di sottometterli.
In età altomedievale, abbiamo la segnalazione di insediamenti abitati e difensivi di natura trogloditica che esistevano nella Sicilia bizantina e che furono tra gli obiettivi delle prime scorrerie degli arabi nel IX secolo. Nella cronaca della conquista e dominazione araba dell'isola, lo storico mesopotamico del XII secolo Ibn Al-Athir accenna infatti alle cave espugnate presso Siracusa nell'827; alla "fortezza delle quaranta grotte" vicino Castrogiovanni, saccheggiata nell'840; alle grotte di Q.r.q.nah, presso le quali trovò la morte nell'861 il capo berbero 'Al 'Abbas. Queste citazioni di fonte musulmana provano l'esistenza di insediamenti rupestri in Sicilia già all'epoca della dominazione bizantina, anche se il fenomeno trogloditico si sviluppò particolarmente nell'isola solo successivamente, proprio durante la dominazione araba.
Per quanto riguarda l’Apulia, non vi sono prove storiche di una tradizione abitativa trogloditica in età classica. Molte grotte artificiali erano state scavate e usate come depositi, ovili, stalle, laboratori, persino come stazioni di sosta sulla arterie viarie, però di vere e proprie case-grotta si cominciò a parlare solo con il ritorno nella regione dei Bizantini nel IX secolo.
Nell'Alexiade dell'XI secolo, la principessa Anna Comnena, figlia dell’imperatore  bizantino Alessio Comneno, scrivendo del condottiero normanno Roberto il Guiscardo, lo ricordava così: “Tale essendo l’uomo e non sopportando assolutamente di essere comandato, se ne partì dalla Normandia con alcuni cavalieri (erano cinque cavalieri e trenta fanti in tutto); lasciata la patria, viveva tra i colli, le GROTTE e i monti della Longobardia, stando a capo di una banda di briganti e, assalendo i viaggiatori, ora si procurava i cavalli ora anche altre cose e armi”  Si tratta della prima, sintetica ma significativa,  attestazione in un’opera storica della esistenza del trogloditismo nel tema di Longobardia, ovvero in Puglia.