“Civiltà rupestre” nella Puglia

Ultima modifica 7 maggio 2020

Testo di Sergio Natale Maglio - © Tutti i diritti riservati

In effetti, il trogloditismo abitativo fece la sua apparizione in Puglia proprio nel periodo della riconquista bizantina della gran parte della regione, dal IX all’XI secolo.
In età altomedievale, la Puglia aveva conosciuto un periodo di forte decadenza. Verso la fine del sesto secolo gran parte della regione era stata strappata dai Longobardi ai Bizantini, i quali erano restati in possesso solo della zona più meridionale della penisola salentina. Nel IX secolo i Longobardi, a loro volta, avevano dovuto cedere buona parte della Puglia centrale, corrispondente grosso modo alle attuali province di Bari e Taranto, ai pirati berberi del nord Africa, da poco convertiti alla fede islamica, che avevano conquistato la Sicilia nell’827 e si erano ben presto spinti anche in Puglia. Tra  l'847 e l'871 Bari fu capitale di un vero e proprio emirato, governato dagli emiri Khalfūn al-Barbarī, Mufarraj ibn Sallām e Sawdān al-Māwrī, mentre Taranto dall’840 all’880 fu un ribat, vale a dire un insediamento fortificato, base operativa soprattutto per le razzie e il commercio degli schiavi.
La decadenza che si era verificata nel periodo longobardo e arabo aveva portato allo spopolamento del territorio e al suo inselvatichimento. I Longobardi avevano poco interesse per la agricoltura, a cui preferivano l’allevamento e la caccia, mentre i Berberi le preferivano le razzie e il commercio. Pertanto, buona parte del territorio rurale era stato pressoché abbandonato, anche per la mancanza di manutenzione dei corsi d’acqua e la totale assenza di bonifiche, che avevano causato l’impaludamento delle fertili pianure pugliesi, ben presto divenute insane e pericolose perché flagellate della malaria.
Nella seconda metà del IX secolo la Puglia centrale era tornata a Bisanzio, dopo circa mezzo secolo di dominazione dei berberi mussulmani. La “seconda colonizzazione bizantina” della regione, governata dalle politiche economiche e sociali dell’impero, durò fino al tramonto della dinastia imperiale macedone, quando la Puglia venne conquistata dai Normanni.
Le campagne occupavano una posizione centrale nell’economia e nella società bizantina, per la loro capacità di produrre risorse e ricchezza a vantaggio delle metropoli e delle città imperiali. La limitatezza di pianure nell’impero, soprattutto nelle aree balcanica ed ellenica, creava difficoltà negli approvvigionamenti e costituiva un importante ostacolo allo sviluppo. Bisanzio, quindi, era molto interessata allo sfruttamento agricolo della Puglia, sia per il suo potenziale produttivo, sia perché la regione era vicina alle città italiane che per tutto il periodo medievale  furono importanti partner commerciali e grandi importatori del grano bizantino.
La riconquista della Puglia coincise con l’inizio del nuovo ciclo climatico medievale. La seconda colonizzazione bizantina iniziò nel IX secolo, nella fase caldo-umida della MCA caratterizzata da un clima molto favorevole alla agricoltura che continuò a persistere fino alla conquista normanna dell’XI secolo. A cavallo dell’anno Mille, anche la Puglia, come tutta Europa, vide  rinascere l’economia legata alla agricoltura grazie ai disboscamenti, al debbio, alla colonizzazione rurale e alla intensificazione delle colture e degli allevamenti, attraverso il grandioso fenomeno medievale dei dissodamenti, che interessarono soprattutto i gradini più bassi dell’altopiano delle Murge .
L’unità organizzativa, fiscale e produttiva per la ricolonizzazione del territorio rurale nella Puglia riconquistata fu il chorion, la comunità-villaggio rurale. Molto spesso i coloni erano migranti, originari di lontani territori dell’impero bizantino, che erano stati invogliati dalle politiche dell’impero a insediarsi nella Puglia. Diverse testimonianze documentali attestano le sue politiche di ripopolamento da parte degli imperatori della dinastia macedone. Sotto l’imperatore Basilio I, all’incirca nell’873 venne insediato presso Gallipoli un numero imprecisato di coloni provenienti da  Herakleia Pontica, città della Bitinia posta sul Mar Nero. Inoltre, l’imperatore inviò nella regione tra 885 e 886 un numero imprecisato di Armeni e mille schiavi liberati. Il suo successore Leone VI trasferì in Puglia un ulteriore contingente di tremila schiavi liberati. Altri coloni furono inviati presso Taranto da Niceforo II, nella seconda metà del X secolo, a seguito della ricostruzione della città.  
Le comunità dei coloni che ricevettero le terre dallo stato si insediarono soprattutto nelle aree pedemurgiane, che erano confinanti con le piane di Taranto e Brindisi.  Nella maggior parte dei casi l’immediata forma di insediamento scelta dai colonizzatori fu l’abitazione in grotta, con la escavazione di numerosi villaggi nelle tenere pareti tufacee delle gravine e delle lame che incidono i versanti dell’altopiano della Murgia.
Non è da escludere che in origine tale scelta abbia costituito per i coloni una modalità insediativa provvisoria, inizialmente ispirata e favorita dalle particolari condizioni geomorfologiche, climatiche ed ambientali territoriali, come il ciclo climatico medievale particolarmente caldo, la facile escavazione della roccia calcarenitica, la stabilità termica delle grotte, il posizionamento dei villaggi scavati ai margini delle pianure al sicuro dalla piaga malarica, il bisogno di mimetizzarsi per le ricorrenti incursioni dei pirati berberi. Sicuramente ebbero un loro peso anche le tradizioni insediative trogloditiche di alcuni ceppi etnici dei coloni e degli schiavi liberati – provenienti da aree dell’Armenia, del Mar Nero e del Caucaso – che avevano ripopolato la Puglia centrale su iniziativa degli imperatori bizantini della dinastia macedone.
La porzione della Puglia centrale maggiormente interessata dal fenomeno degli insediamenti abitativi in grotta durante la seconda colonizzazione bizantina  comprende la provincia di Taranto con le propaggini di Matera, Montescaglioso e Gravina di Puglia, e la provincia di Brindisi insieme ai territori di Monopoli e Polignano, giungendo fino alle porte di Bari. Alcuni di questi choria trogloditici, tra la fine del X e l'inizio dell'XI secolo,si trasformarono quindi nei casalia, castella e castra che costituirono il nucleo degli attuali centri abitati.
Successivamente, dal XIV secolo sino alla metà del XIX secolo, la evoluzione del freddo ciclo climatico della Little Ice Age portò sostanzialmente all’abbandono delle case-grotta anche nella nostra regione, come nella maggior parte delle aree che erano state interessate nel corso del Medioevo dallo sviluppo delle architetture scavate. Le temperature più basse e la eccessiva ritenzione di umidità sconsigliavano oramai l’utilizzo delle case-grotta, mentre le abitazioni convenzionali costruite al disopra del suolo risultavano molto più utili e funzionali a un ottimale acclimatamento umano.
Tutto ciò non ha impedito che la vita in grotta si prolungasse in alcune zone sino ai nostri tempi, soprattutto in contesti di estrema povertà, indigenza e di adattamento. E’ il caso della stessa Matera, per la quale il 17 maggio 1952 fu varata la “Legge Speciale per lo sfollamento dei Sassi” che impose a circa diciassettemila persone, due terzi degli abitanti della città, di abbandonare le loro case-grotta per trasferirsi in nuovi rioni.