La chiesa di Santa Maria de Busso o della Vetera

Ultima modifica 6 maggio 2020

Testo di Sergio Natale Maglio - © Tutti i diritti riservati

Il nuovo sovrano Carlo I d’Angiò, dopo aver conquistato il Regno di Napoli, affidò nel 1268 il «castrum Motulae» a suo cugino Anselin de Toucy, comandante della flotta. Questo affidamento conferma la grande importanza strategica della guarnigione fortificata mottolese per gli Angioini. Sotto il loro dominio a Mottola vennero costruite importanti fabbriche religiose. Secondo gli storici del Seicento e dell’Ottocento, nel 1283 venne edificata fuori delle mura della città la cappella di Sancta Maria de Vetere, laddove è oggi la chiesa dell’Immacolata o Convento. La sua costruzione sarebbe stata attestata da una lapide ritrovata nella chiesa nel 1686, oggi perduta, riportante dei versi di Ruggero Boccarello scolpiti presso l’altare principale della cappella, che attribuivano la sua committenza al cavaliere Rainaldo, durante la dominazione feudale di  Narjaud de Toucy.
Il primo riferimento documentato  alla chiesa sembra però essere negli elenchi dell'imposta straordinaria che la Chiesa prelevava sulle rendite ecclesiastiche. Nelle Rationes Decimarum del 1324 vi è una sola chiesa di Mottola intitolata alla Vergine, e tale chiesa  non viene appellata “de Vetere”, bensì “ecclesia S. Marie de Busso” .
Con tutta probabilità, quindi, era Sancta Maria de Busso il nome originario di Sancta Maria de Vetere. Quest’ultima denominazione appare per la prima volta in documenti del Seicento;  essendone state costruite altre, nel frattempo, potrebbe essere stata usata  per individuare la più antica tra le chiese mottolesi che erano dedicate alla Vergine.
Busso” è un termine latino tardomedievale, riferito alle imbarcazioni di grossa stazza che venivano utilizzate nel XII e XIII secolo nel Mediterraneo per il trasporto di uomini, mercanzie e scopi militari. Essendo particolarmente adatte al trasporto in sicurezza di truppe e salmerie, grazie alla loro struttura e al notevole tonnellaggio, svolsero un ruolo essenziale nelle spedizioni crociate del XII e XIII secolo, nonché per il trasporto dei pellegrini nella Terra Santa.
Il collegamento dell’antico nome della chiesa al mare e alle rotte marittime, riceve una conferma dalla presenza su un concio di tufo di un brano di affresco, attualmente visibile in una delle volte, raffigurante due giovani che sembra stiano lavorando alla costruzione di una nave.  Uno di loro, un carpentiere, impugna un’ascia-martello probabilmente nell’atto di inchiodare. Ambedue stanno svolgendo la loro attività lavorativa presso una struttura marrone convessa, che sembra rappresentare lo scafo di una nave.
D’altra parte, la intitolazione alla “Vergine della nave dei pellegrini” appare perfettamente coerente con gli altri resti ancora visibili del corredo pittorico, devozionale e simbolico della chiesa, fortemente intrisi dei temi dei pellegrinaggi in Terrasanta e della vicenda crociata.
Un documento del 1652 riporta la descrizione della chiesa a due navate, con tetto in pietra, una sacrestia e un campanile con due campane. La chiesa aveva le due absidi orientate a sud, quattro cappelle e altrettanti altari dedicati a diversi santi.
Nella seconda metà del ‘500 il vecchio convento francescano presso la chiesa di Mater Domini nel perimetro fortificato della città venne abbandonato, e i monaci si trasferirono in una nuova struttura fuori dalle mura, affiancata alla chiesa di Santa Maria della Vetera che cominciò a svolgere la funzione di cappella del convento. Questo nuovo convento coincideva grosso modo con l’attuale perimetro della chiesa dell’Immacolata
Alla fine del XVII secolo esso venne demolito, quindi ricostruito e ampliato in un’area attigua sul lato meridionale. Nel 1686 sull’area del convento demolito e sulla antica chiesa venne costruito un nuovo tempio, dedicato a San Francesco. Santa Maria della Vetera venne pertanto parzialmente distrutta al fine di permettere la costruzione dell’abside della nuova chiesa, l’originario impianto fu stravolto per l’abbassamento della volta e la demolizione di  altari, muri e pilastri. I resti sotterranei della antica chiesa angioina furono così  utilizzati come ossario del convento francescano,  fino ai primi decenni del secolo XIX.
Attualmente l’ingresso ai sotterranei è reso possibile da un vano posto su via Convento, realizzato all’incirca nel 1945, attraverso un’apertura ricavata nei primi anni ’60 nella muratura portante settentrionale della antica chiesa. Attualmente i suoi resti sono racchiusi in un corpo rettangolare di circa 115 mq. Il rettangolo è diviso longitudinalmente in due sezioni rettangolari da un piedritto centrale trapezoidale, che corre per quasi tutta la lunghezza del vano, da occidente ad oriente, lasciando solo un varco presso la parete est, attraverso il quale si può accedere dalla prima sezione  alla seconda. Ambedue le sezioni, a loro volta, sono divise pressappoco a metà, da muri divisori di notevole consistenza.
Se della chiesa angioina resta solo una parte delle murature originali, si sono fortunatamente conservati i resti di un rarissimo pavimento tardo duecentesco di formelle di terracotta, che porta impressi simboli sacri e animali dell’immaginifico bestiario medievale. Inoltre, parecchi conci di tufo rimossi e riutilizzati nelle murature mostrano ancora brani di antichi affreschi duecenteschi e trecenteschi, di buona fattura, mentre su alcune murature ancora parzialmente integre sono visibili lacerti della originaria decorazione pittorica. Oltre a svariate decorazioni con rotae e losanghe dipinte, si notano anche diversi graffiti devozionali con temi che venivano molto usati nel medioevo per testimoniare il passaggio di pellegrini nei luoghi sacri. Essi rappresentano la più ampia documentazione degli ex voto e della religiosità popolare collegata ai pellegrinaggi medievali che sia stata finora ritrovata nella provincia di Taranto.