Arte nella cattedrale: Il Settecento - La tela di Santa Maria Assunta e San Tommaso Becket

Ultima modifica 6 maggio 2020

Testo di Sergio Natale Maglio - © Tutti i diritti riservati

Il domenicano Pietro Paolo Mastrilli, quando venne nominato vescovo di Mottola nel 1703, commissionò per 140 ducati al pittore napoletano Nicola Malinconico la grande tela dell’Assunta e San Tommaso di Canterbury che campeggia attualmente nell’abside della ex cattedrale. Fino al 1958 l’opera era collocata sopra l’ingresso della sacrestia, in corrispondenza della attuale cappella di San Tommaso.
Il Malinconico era un esponente di rilievo della scuola barocca napoletana di Luca Giordano, ma anche molto attento all’opera di Francesco Solimena, e veniva  apprezzato nella città partenopea soprattutto per le tele laterali del transetto di Santa Maria La Nuova e per il festoso soffitto di Santa Maria di Donnalbina. Ma la sua produzione artistica non si ferma a Napoli, avendo realizzato opere importanti in varie zone d’Italia, come a Vicenza, Bergamo, Roma, Loreto e in diversi centri della Terra d’Otranto. Dipinse la grande tela mottolese nel 1706, lo stesso anno in cui papa Clemente XI lo nominò suo Cavaliere, con il titolo di Conte.
L’opera appare assolutamente allineata alla nuova concezione dell’arte sacra istituita dalla Controriforma. Il Concilio di Trento aveva affermato l’importanza dell’arte sacra e la sua fondamentale funzione didattica per il fedele, in grado di trasmettere il proprio messaggio attraverso un linguaggio innovativo, che fosse in grado di coinvolgere emotivamente lo spettatore. Pertanto la pittura sacra barocca nel Sei-Settecento fu caratterizzata dalla ricerca scenografica, le grandi proporzioni delle immagini, le decorazioni sfarzose e l’enfasi drammatica delle composizioni, nonché dall’atteggiamento generalmente estatico e visionario dei Santi, che intendeva esaltare la componente miracolistica della scena.
La scena sacra effigiata nella tela mottolese sembra aver pienamente assimilato questi canoni. San Tommaso di Canterbury, anziano e con la barba bianca, è privo del pallio arcivescovile e vestito con una tunica bianca, sopra il quale indossa un mantello beige rosato, dello stesso colore della mitra. Egli è colto nel momento della visione, ai piedi della Vergine Assunta, raffigurata durante la salita al cielo tra un tripudio di angeli e cherubini. Il santo Vescovo – alle cui spalle è un angioletto che impugna la spada  del suo martirio – mostra un atteggiamento estatico dal quale traspare l’esperienza interiore del divino vissuta in quel momento;  è fronteggiato da un grande angelo biondo senza ali, che si libra sul sarcofago vuoto e scoperchiato della Vergine Maria, punteggiato da alcune rose sparse. Per terra, sotto l’angelo aptero e presso il sarcofago, sono il libro e il pastorale vescovile.
Nell’angolo inferiore sinistro della tela è riprodotto lo stemma del vescovo committente. Lo stemma è presente anche sulla base di una artistica acquasantiera in marmo, fatta realizzare dallo stesso vescovo, che è attualmente collocata nella cappella di san Giuseppe.

LA TELA DELLA VERGINE CON BAMBINO NELLA GLORIA DEI CIELI
Fu sempre il vescovo Mastrilli a far realizzare nella navata sinistra, nei primi anni del Settecento, una nuova cappella dedicata a San Giuseppe, grazie alla chiusura della originaria porta della prima cattedrale e alla parziale demolizione del soprastante rosone della antica facciata settentrionale. Nell’ambito della realizzazione di questa cappella, che è attualmente dedicata a Gesù Bambino, potrebbe forse aver commissionato la tela che è visibile sull’altare della stessa, sulla quale non si hanno al momento altri elementi e documentazione.
La Vergine con Bambino nella gloria dei Cieli è una composizione di autore sconosciuto, di fattura notevolmente inferiore alla tela del Malinconico, databile tra il XVIII e gli inizi del XIX secolo. La tela raffigura un giovane san Vito Martire nella sua consueta iconografia, vestito alla romana e con ai piedi due cani, che ha nella mano la palma del martirio e la croce, simbolo di fede invincibile. Di fronte a lui è san Francesco di Paola, con il volto senile ed emaciato, ai cui piedi si trova un angelo che regge l’immancabile bastone e il sole radiato con iscritto il motto CHA/RI/TAS dell’ordine monastico dei Minimi, fondato dal santo. I due santi sono in adorazione ai piedi della Vergine col Bambino, che ha alla sua destra i santi Gioacchino e Anna. Il fiore bianco che sant’Anna porge al Bambino è probabilmente riferito al concepimento virginale dello stesso Gesù: “Un germoglio spunterà dal tronco di Jesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici” (Is. 11,1). Alla sinistra della Madonna sono invece raffigurati san Giuseppe e san Gaetano. Quest’ultimo regge un giglio, simbolo di purezza, e un cartiglio col motto ET/ FACI/TE dei Chierici Regolari Teatini, fondati dal santo di Thiene.

L’ALTARE DELLA CAPPELLA DEL SS.MO SACRAMENTO
Dopo la costruzione della cappella del SS.mo Sacramento nella seconda metà del ‘600, la cura e manutenzione erano stati affidati a una apposita confraternita del Ss.mo Sacramento, che viene citata nel 1670 dalla relatio di mons. Della Quadra e che venne però sciolta da quest’ultimo prima del 1692. Successivamente, nel corso del ‘700, la gestione della cappella era stata presa in carico dalla confraternita del Rosario.
Durante il magistero di mons. Nicola Paolo Pandolfelli, tra il  1740 ed il 1750, la confraternita commissionò a un validissimo artista scalpellino locale, del quale non conosciamo il nome, l’artistico altare della cappella, di notevolissima fattura. Esso sembra a prima vista realizzato in marmo, ma in realtà di tratta di pietra colorata. Di particolare pregio appaiono i due putti collocati in alto sul ciborio e quelli posti con funzione di reggimensola ai capialtare.
Nell’insieme il maestoso altare risulta visibilmente ispirato agli schemi compositivi e agli apparati decorativi rococò tipici della scuola napoletana dell’architetto Domenico Antonio Vaccaro.