Il castellum bizantino a Petruscio

Ultima modifica 5 maggio 2020

Testo di Sergio Natale Maglio - © Tutti i diritti riservati

Sul pianoro sovrastante la grande gravina di Petruscio, in particolare ad ovest presso il vecchio tracciato della ex statale 100, si ritrovano numerosissime tracce degli insediamenti medioevali che facevano capo al grosso villaggio medievale ipogeo.
Il reperto monumentale più evidente è senza dubbio rappresentato dai resti dei muri perimetrali della Torre di Petruscio, costruita secondo le tecniche costruttive locali d'epoca longobarda e bizantina. Essa ha una pianta rotonda di circa 8 metri di diametro, con le murature dello spessore di circa mt 1,40 realizzate con blocchetti di pietra calcarea rozzamente squadrati e cementati con abbondante malta. Nei dintorni della torre sono ancora leggibili i resti scavati nella roccia di mangiatoie, carraie, abbeveratoi, muraglie megalitiche, officine artigiane e cave.
Recenti scavi archeologici condotti nell’area archeologica, sembrano confermare l’abbandono del villaggio intorno al XII secolo, in età normanna. D’altra parte, le fonti storiche e documentarie tacciono sulle vicende del villaggio, ed il primo accenno al "loco casalis Petrugii" risale solo a una donazione del 1227, in età sveva.
Appare davvero strano che un antico ed enorme villaggio rupestre, delle dimensioni di Petruscio, esistente almeno dal IX-X secolo, sia passato inosservato e non abbia mai avuto alcuna citazione prima della donazione del XIII secolo.
A questo si aggiungono i dubbi sulla effettiva possibilità di coesistenza tra il IX e il XII secolo di due grossi centri abitati, l’uno sulla rocca di Mottola e l’altro presso l’imponente villaggio rupestre, distanti tra loro appena tre chilometri. Si tratta di una ipotesi improbabile, nella Puglia centrale che solo da pochissimo tempo era stata parzialmente ripopolata, grazie alla colonizzazione bizantina.
Una spiegazione plausibile a questa totale mancanza di fonti e citazioni può essere trovata nel possibile spostamento della maggior parte della popolazione della città, in età bizantina, nel villaggio rupestre della gravina, con l’evidente scopo di colonizzare il fertile territorio della pianura vicina a Petruscio. In tal caso, tutti i dati storici e documentali riferiti a Mottola, fino alla metà del XII secolo, sarebbero in realtà attribuibili al villaggio rupestre che oggi chiamiamo Petruscio.
A conferma di questa ipotesi, una delle principali fonti documentarie del XII secolo pugliese, il cronista normanno Lupo Protospatario, riporta che Mottola venne fortificata dai bizantini nel 1023 con la costruzione di un castellum. Sempre nel XII secolo, un’altra cronaca  racconta l’arrivo dei normanni a Mottola nel 1063, affermando che il conquistatore Goffredo conquistò due diversi tipi di fortificazioni, ovvero un castellum e un castrum.
E’ necessario tener presente che nel periodo bizantino il termine castrum designava i grandi insediamenti fortificati, di solito posti su rupi inaccessibili, come nel caso di Mottola, che aveva una poderosa cinta difensiva di epoca classica. Invece il termine castellum era riferito a piccoli villaggi dotati di qualche opera difensiva minore, di solito non in muratura, come terrapieni, recinti, fossati, palizzate, torri di avvistamento, ecc.
Solo parecchi secoli più tardi, nel Basso Medioevo, si è cominciato a usare il termine castellum per definire un edificio fortificato con adeguate murature, preposto alla difesa di un territorio, insomma il castello come lo intendiamo attualmente noi, nel nostro immaginario collettivo.
Una corretta interpretazione di questi termini nelle fonti documentarie rende plausibile, quindi, che gli abitanti di Mottola si siano concentrati tra X e XI secolo nel grande castellum rupestre sulla gravina di Petruscio, lasciando al castrum classico sulla cima della collina la funzione di rifugio dei coloni solo in caso di estremo pericolo.
Si trattava di una consuetudine difensiva abbastanza comune in età bizantina, illustrata nel trattato sulla guerriglia dell’imperatore Niceforo Foca, il Liber de velitatione bellica Nicephori Augusti del decimo secolo. In caso di minaccia di invasione da parte dei nemici, l'esercito avrebbe aiutato gli abitanti dei villaggi  e delle fattorie rurali a ripiegare nel rifugio fortificato (kataphygion) con il bestiame, beni mobili e provviste per quattro mesi.  L’esistenza di queste tipologie difensive è attestato da documenti storici e scavi archeologici in tutta l’area mediterranea, nell'Egeo, in Grecia, in Macedonia, nel sud-est dell'Asia Minore e  anche nel sud Italia, particolarmente in Calabria.
Probabilmente il grande villaggio rupestre venne abbandonato dopo la sua conquista e distruzione nel 1156, nel corso della campagna militare condotta da Michele Paleologo e Giovanni Doukas, generali dell’imperatore Manuele I Comneno, mirante alla riconquista dei territori normanni della Puglia, che ci è stata tramandata dallo storico bizantino Giovanni Cinnamo nella Epitome rerum ab Ioanne et Alexio Comnenis gestarum.