Il santuario rupestre della Madonna del Carmine

Ultima modifica 12 maggio 2020

Testo di Sergio Natale Maglio - © Tutti i diritti riservati

La città ha il particolare privilegio di avere due chiese rupestri che ancora oggi svolgono le funzioni di santuari mariani e sono oggetto di particolare devozione da parte dei fedeli di Mottola e dei centri vicini. Essa scopre all’alba dell’età moderna il suo più antico santuario, denominato Madonna del Carmine o Madonn Abbasc’, a circa sette chilometri a sud del centro abitato, in un periodo di forte crisi della sua storia. Nonostante l’imponente sforzo che la città aveva prodigato per la costruzione e ultimazione della cattedrale, mostrava tuttavia preoccupanti segni di decadenza, già a partire dall’età aragonese. Nel 1502 la collina venne assaltata e saccheggiata dalle truppe francesi del conte di Guisa Louis d’Armagnac, luogotenente generale e viceré del francese Luigi XII, che si disputava il Regno di Napoli con gli spagnoli di Ferdinando il Cattolico. In tale occasione il vescovo mottolese Geronimo Scudello dovette rifugiarsi a Taranto, dove morì, mentre il successore Vincenzo de Nicopoli fu costretto a stabilire la sua residenza al di fuori della diocesi, «in castro montis Gojae», presso Gioia del Colle.
Questa devastazione segnò duramente il centro collinare, che probabilmente fu temporaneamente abbandonata da buona parte della popolazione, così come avevano fatto i suoi vescovi. Fu proprio in questi difficili anni, il 22 aprile 1506, che la Vergine del Carmelo apparve in sogno al pastore Francesco Pietro di Filippo, il quale riposava nella grotta, ordinandogli di edificare in quel punto una cappella e di festeggiarla l’8 settembre, promettendo ai devoti la sua potente intercessione per le grazie che avrebbero richiesto. In seguito, alla sua devozione vennero attribuite una serie di guarigioni miracolose e soprattutto la protezione dei giovani dalle tentazioni della carne. Da allora, durante i sabati di Quaresima si svolge presso la cappella un affollatissimo pellegrinaggio votivo da Mottola e da molti centri vicini, mentre la ricorrenza mariana viene festeggiata l'Ottava di Pasqua e l'8 settembre.
La cripta originaria, forse in origine rifugio di un eremita o chiesa rupestre, è stata fortemente rimaneggiata nel corso dei secoli, presentando attualmente una pianta qua-drata. L'antro devozionale è scavato rozzamente nella roccia, con i pilastri monolitici che sostengono la volta piana. Sull'altare la cupola a base quadrata si eleva per otto metri e mostra sull'intradosso lo stemma della famiglia Palomba, feudataria di Palagiano nella prima metà dell'800. L'affresco sull'altare, probabilmente palinsesto su un affresco più antico, è datato 1654 e rappresenta la Vergine Odegitria con due angeli che le reggono la corona, mentre ai lati sono dipinti altri due angeli in ginocchio e con ceri accesi. Un altare in marmo nella seconda metà del Novecento ha coperto quasi tutta la parte inferiore dell'affresco della Vergine, con la rappresentazione delle Anime Purganti, di cui si vedono appena le teste, due maschili e due femminili.
Nel sottarco della composizione, a destra, è dipinta una tavoletta votiva, raffigurante una giovane donna di Grottaglie, seduta su un letto, che implora la guarigione di una fistola all’occhio, forse di origine venerea. La iscrizione dice:  FILORA DE LE GROTTAGLIE AVE[N]DO U/NA FISTULA P[ER] TRE A[N]NI APRESSO A/ ALLOCCHIO CHE NESC[I]UNO MEDICO LA/HAVEVA SANA[TA] PERVENE[N]DO S[ANTA] M[ARIA] D[E] LO CAR / MINO Di MOTOLA FO [GRAZIATA]» Sotto di essa è raffigurato San Giuseppe.
A sinistra, un'altra tavoletta votiva rappresenta un giovane nobile con i pantaloni aperti sul davanti, che lascia intravedere il pene, presso la madre che è in fervente preghiera di un piccolo ovale raggiato contenente l’immagine della Vergine. La iscrizione recita: LA SIGNURA CAMILLA FIGLIOLA DE / LO SIGNORE TIBERIO AVENDO UNO / FIGLIOLO PASSIONATO MALAME[N]TE DE / LO CUGNO REVOLTA[N]DOSI a S[ANTA] M[ARIA] D[E] LO / CARMINO DE MOTULA FO [GRAZIATA]. Si tratta, con ogni probabilità, della figlia Camilla e del nipote di Tiberio Domini Roberti, barone di Palagianello alla metà del XVI secolo. Sotto quest’ultimo ex voto è raffigurato San Gioacchino.
Sul pilastro, infine, è rappresentata una Trinità, attribuita al XVII secolo, probabilmente realizzata nel corso degli interventi per la costruzione della cupola, della facciata e del campanile, che sono attestati in una lapide murata del 1659.