La chiesa rupreste di Sant’Angelo di Casalrotto

Ultima modifica 6 aprile 2021

Testo di Sergio Natale Maglio - © Tutti i diritti riservati

Si tratta dell’unica chiesa rupestre nell'Italia meridionale scavata su due livelli, mostrando un invaso inferiore che funge da cripta funeraria, con alcune tombe scavate nel pavimento. In Italia essa rappresenta un unicum, mentre esempi analoghi si ritrovano in Asia Minore. Il doppio ingresso della chiesa, ornato da una duplice ghiera, si apre su un piccolo atrio scoperto che vede  alla sua sinistra una celletta, probabilmente riparo del custode, collocata  presso la cisterna per la raccolta delle acque.
All’interno, alla sinistra dell'ingresso si trova una piccola cella, forse il sacrarium, posta al di sopra della scalinata di accesso alla cripta inferiore. La cella è corredata di nicchiette scavate nella parete, nelle quali venivano conservati gli utensili, e mostra due pozzetti scavati nel pavimento, ove presumibilmente si raccoglievano le offerte dei fedeli.
Ambedue i livelli del tempio presentano tre navate, secondo lo schema icnografico  della croce greca inscritta in un quadrato, e tre absidi liturgicamente orientate, con le absidi rivolte a est. Probabilmente, in origine, l’aula superiore era binavata e la navata sinistra potrebbe essere stata scavata in un secondo tempo. Infatti, essa presenta particolari architettonici differenti dal resto della chiesa, evidenti nelle sei nicchie con arcate cieche presenti sulla parete settentrionale, che sono a sesto ribassato e listellate, scandite da colonnine con fusto liscio su plinto. Lo scavo della navata sinistra ha causato la asportazione di una parte del preesistente affresco di San Giorgio, databile alla fine del XIII secolo, che è visibile sul residuo pilastro litico; l’allargamento, quindi, potrebbe essere avvenuto tra il XIII e il XIV secolo. All’ampliamento della chiesa, attraverso la nuova navata, sono collegati anche  lo scavo della scala di accesso e quindi la realizzazione della cripta inferiore.
Probabilmente, anche la parete sud dell’aula superiore potrebbe aver subito rimaneggiamenti che hanno falsato i volumi della classica planimetria basilicale a croce greca inscritta. In questa parete si può notare la presenza di tre grandi nicchie, di cui quella centrale a fondo piatto.
Le navate sono divise da tre pilastri monoliti. Nell'abside centrale, a fondo piatto, ornata all'estradosso da una triplice ghiera, è posto un altare di tipo latino, accostato alla parete; le absidi laterali hanno invece le calotte concave, e presentano anch’esse monconi di altari. Sul pavimento è appena visibile la traccia del basamento del templon, la originaria iconostasi in pietra, abbattuta probabilmente nel periodo benedettino, che delimita l’area dell’originario bema. Il soffitto del transetto presenta due diverse decorazioni: nella navata centrale è scolpito un tetto a doppio spiovente con cornice a bastoncello,  nelle navate laterali il motivo rappresenta crociere costolonate.

LA NAVATA DESTRA
Gli affreschi che si trovano nella chiesa, seppure interessati da recenti interventi restauro, in genere presentano un notevole grado di deterioramento. Il degrado è dovuto agli atti di vandalismo in passato, all'inquinamento e alle infiltrazioni di acqua. La loro datazione viene attribuita tra il XII  e il XIV secolo; molti di essi sono palinsesti, ovvero ricoprono altri strati dipinti sottoposti di epoca precedente.
A destra dell'ingresso è effigiato un Santo Vescovo con l’omophorion, una sorta di pallio crociato. Non sappiamo chi sia, poiché l'unica iscrizione esegetica visibile é la SCS, che sta per S(an)C(tu)S. Si può solo affermare che si tratta di un vescovo in quanto l’omophorion rappresenta il contrassegno episcopale della Chiesa d’Oriente. Egli ha nella mano il tipico attributo iconografico dei dottori della chiesa, il libro che è chiuso, in quanto nella Bibbia è scritto che solo il Cristo ha il potere di aprire il rotolo della Legge.
Nel primo dei tre archivolti della navata sud vi è un affresco palinsesto. Lo strato inferiore rappresenta la figura di una Madonna seduta in trono che regge sulla sinistra il Bambino; lo strato sovrapposto è parte del volto di un Santo anonimo. Sulla faccia esterna dell'archivolto sono rappresentati due angeli in volo vestiti di rosso.
Segue un altro affresco palinsesto racchiuso entro una cornice di foglie di acanto stilizzate, tipiche dello stile corinzio. Si tratta di due rappresentazioni di San Silvestro Papa, d'epoca successiva: la figura più grande, a figura intera sulla sinistra, con la iscrizione esegetica, porta sulla testa la mitra, il copricapo alto e rigido indossato dal papa nelle liturgie solenni, e regge con la mano sinistra il bastone del pastorale, attributo iconografico dei papi simbolo dell'autorità religiosa. A destra, su due registri, sono raffigurate scene della sua vita, tra le quali si nota una figurina con corona, probabilmente Costantino, l'imperatore che Silvestro aveva convertito, consentendo quindi ai cattolici di professare liberamente la loro fede.
Nel secondo archivolto, sulla destra vi è un affresco  la cui parte sinistra è andata distrutta, quasi sicuramente durante i lavori di allargamento della navata. Si intravede appena un Martirio di Santo Stefano, del quale è visibile la scritta CARNIFICES.
Poco distinguibile anche la scena successiva, nella parte sinistra dell'archivolto, dipinta probabilmente nel XIII secolo e di buona fattura artistica. Si tratta del Battesimo di Gesù, e contiene l'iscrizione esegetica di San Giovanni Battista. Nel sottarco, che doveva essere in origine interamente affrescato, è appena distinguibile un San Martino.
Segue quindi il dittico palinsesto dei SS. Vito e Paolo. Il primo è un santo di origini lucane,  il secondo, a parere di alcuni autori, sarebbe San Paolo di Costantinopoli, un santo orientale che difese l'ortodossia della chiesa al tempo di Costantino. La sua presenza potrebbe essere testimonianza della grande influenza culturale e religiosa bizantina in questa zona ancora qualche secolo dopo la cacciata politica di Bisanzio. Il suo accostamento a San Vito confermerebbe la forte contaminazione della tradizione culturale bizantina e l’espressione di un'arte autoctona in grado di adattare i modelli orientali alla cultura e religiosità occidentali.
Nel terzo archivolto, è appena visibile Sant'Agostino. Il Dottore della Chiesa si presenta in abiti episcopali, benedice e regge con la sinistra il pastorale.

LE ABSIDI
Gli affreschi meglio conservati sono le due Deesis, presenti nell’abside destra e in quella centrale della chiesa superiore. Esse ripetono un tema molto comune nelle iconografia rupestre pugliese, con Cristo Pantocratore posto al centro tra la Madonna e San Giovanni Battista, che intercedono presso di lui in preghiera. Si tratta, in realtà, di una versione semplificata del Giudizio Universale, con la Vergine e il Precursore che intercedono per i peccatori. La composizione in origine era riservata agli invasi funerari, oppure al retrospetto delle facciate principali nelle chiese bizantine, mentre nella Puglia centrale prevale nettamente nelle absidi delle chiese rupestri.
Diversi sono gli elementi stilistici latineggianti delle due Deesis, e ciò ha condotto molti studiosi a datarle entrambe al XIV secolo.
La Deesis dell’abside destra mostra una variante allo schema canonico di questo tipo di composizione pittorica sacra. Infatti, il consueto san Giovanni Battista è stato sostituito da san Giacomo, e ciò ha indotto alcuni studiosi ad avanzare l'ipotesi che la cripta fosse in origine dedicata proprio al santo Apostolo. In effetti, l’ipotesi non appare supportata da elementi certi, perché il dipinto è tardo e non vi è alcuna prova documentale della esistenza a Casalrotto di una chiesa dedicata a san Giacomo. In ogni caso, la sostituzione del Precursore nel dipinto mette in evidenza una particolare devozione locale per l’Apostolo, che può essere messa in relazione alla valva votiva di pecten jacobeus ritrovata in una tomba del cimitero del villaggio rupestre. Infatti, anche questo affresco di san Giacomo mostra due conchiglie devozionali, sul mantello e sulla bisaccia da pellegrino. Il Cristo, dal volto solenne e dignitoso, indossa il tradizionale manto blu, segno della sua umanità, sulla tunica rossa, segno della sua divinità; è seduto su un ricco trono e reca nella mano sinistra un libro aperto con le iscrizioni "EGO SUM A ET Ω PRIMUS ET NOVISSIMUS". L’iscrizione rappresenta una citazione della Apocalisse di san Giovanni Evangelista (22,13), quindi appare chiaramente collegata al Giudizio Universale e ai riti funerari. Sull'estradosso sono visibili due Angeli con l'iscrizione "cherubin".
Nella Deesis dell'abside centrale prevalgono i toni scuri. Il volto di Cristo, con aureola crucifera, appare qui più severo, con la barba folta e le lunghe chiome; l'abito evidenzia pieghe più ampie ed abbondanti. Sul libro che tiene in mano era un tempo visibile la scritta "EGO SUM LUX MUNDI".
Nella terza abside a sinistra non è più leggibile l'affresco originario, che doveva essere con ogni probabilità la Vergine tra i due Arcangeli Michele e Gabriele. Resta visibile il viso di Gabriele, che è stato giudicato uno dei soggetti pittorici  più belli del comprensorio della "civiltà rupestre" pugliese.

LA NAVATA SINISTRA
Lungo la parete sinistra vi sono evanescenti tracce di altri affreschi che raffiguravano Santa Margherita, San Giovanni Evangelista e un Angelo. Altre tracce di affreschi rappresentano un Santo con barba, una Santa con diadema turrito, Santo Stefano e una Vergine con Bambino.
A sinistra del secondo ingresso è raffigurato San Vito. Sul soffitto immediatamente di fronte all'ingresso è visibile l’affresco di un'Aquila nera con un libro fra le zampe, ovvero  il simbolo dell'Evangelista Giovanni. Si tratta di una rarità, perché nelle chiese rupestri del circondario i soffitti in genere non presentano dipinti.
Sulla colonna sinistra di fronte all'ingresso appare l’affresco "mutilato" durante lo scavo della terza navata, di San Giorgio a cavallo, risalente alla fine del XIII secolo.
Sulla facciata del pilastro che guarda l'abside centrale è invece raffigurato San Simeone Stilita il giovane, con un serpente che si avvolge intorno alla colonna sul quale viveva il santo eremita orientale, la cui rappresentazione è molto rara nell'iconografia rupestre dell'Italia meridionale.

LA CRIPTA INFERIORE
Si è già detto che Sant'Angelo rappresenta l'unico caso in Puglia di chiesa rupestre scavata su due piani, una soluzione architettonica che conta numerosi esempi in Cappadocia e, più in generale, in tutto il mondo bizantino. Nel pavimento dell’aula al secondo livello vi è la insolita presenza di tombe, che conferma la consacrazione di questo luogo al rito dei defunti e fa ipotizzare un suo utilizzo eminentemente privato. Nella regione rupestre, infatti, aree funerarie sono presenti solo in pochissime altre chiese ipogee, come San Nicola a Matera, via Martinez a Bari, Lama d’Antico a Fasano e San Simine a Massafra.
Nel piano di calpestio vi sono infatti sei tombe prive di cuscino e poste con la testa di fronte ad est. Due di queste tombe sono più piccole, utilizzate per la deposizione di bambini. Prima dell’estate del ‘72 quattro tombe erano state già violate; durante gli scavi,  in una delle tombe intatte ai lati delle ginocchia della giovane defunta furono ritrovate due monetine bronzee di Manfredi (1264), curiosa testimonianza della sopravvivenza di una consuetudine funeraria che era tipica del mondo longobardo. Nell’altra tomba intatta, di una bambina, furono ritrovati due orecchini in cerchietti di argento.
La chiesa inferiore, più piccola di quella superiore, è anch’essa scavata a tre navate, divise da due pilastri monolitici. Il vano fu utilizzato forse anche per l'esercizio del culto, come dimostra la presenza del sedile litoide che veniva utilizzato dai fedeli durante la celebrazione del rito liturgico.
Il fondo è scandito da tre absidi di cui quella centrale, a fondo piatto e con estradosso leggermente inflesso, conserva un altare di tipo latino. I due absidi laterali presentano nella calotta emisferica monconi di altare addossati alla parete.
Nella calotta absidale destra è visibile l'unica Deesis presente nella chiesa inferiore, in una composizione abbastanza insolita. L'affresco mostra Gesù Pantocratore seduto su di un trono, che benedice con la destra e regge nella sinistra un libro con frammenti di iscrizioni esegetiche indecifrabili. Il Cristo centrale presenta alla sua destra,  al posto consueto della Vergine, il padre del monachesimo orientale San Basilio, che regge con le due mani un libro chiuso; alla sinistra,  al posto del Precursore,  vi è sant'Andrea, l’Apostolo protettore della chiesa di Bisanzio. La datazione del dipinto viene fatta risalire al XIV secolo, in pieno periodo benedettino, e rappresenta un altro evidente omaggio alla tradizione cultuale bizantina, ancora viva tre secoli dopo la cacciata politica di Bisanzio dalla Puglia.  
Nell'abside centrale e in quella laterale sinistra non vi sono tracce di affreschi. Fra i Santi raffigurati nella decorazione dell'aula, che è molto danneggiata e deteriorata, primeggia per la riuscita esecuzione artistica la figura di San Pietro, un santo molto caro all'agiografia latina, rappresentato nel sottarco che divide la navata destra da quella centrale. Il dipinto della fine del XIII secolo, di ottima fattura, rappresenta l’Apostolo con barba corta e nera, mentre  regge nella mano sinistra le tre chiavi del Regno dei Cieli e il rotolo con l'iscrizione "TU ES CHRISTVS FILIUS DEI VIVI".
Altre tracce residue di affreschi si intravedono nel sottarco della navatella sinistra, come l’aureola perlinata di un probabile San Paolo, con l’alta fronte stempiata.  Sulla parete destra, presso le tombe, appare una scena complessa e molto rovinata, che è stata interpretata come il Martirio di San Bartolomeo. L’episodio in cui il re ordina lo scorticamento del santo Apostolo è stato raffigurato anche nella vicina chiesa rupestre di Santa Apollonia; anche la chiesa rupestre di San Gregorio conserva un’altra raffigurazione del Santo evangelizzatore dell’Armenia, questa volta in forma iconica.
La presenza nell'iconografia della cripta inferiore di santi come Pietro e Paolo da una parte, Andrea, Basilio, Bartolomeo dall’altra, testimonia, ancora nel XIV secolo,  la continua oscillazione  fra la cultura latina, che era difesa e diffusa da Longobardi, Normanni e Benedettini, e la cultura orientale, vivamente sentita in Puglia per la secolare colonizzazione di Bisanzio. Simbolicamente, i santi latini che si mescolano a santi orientali nelle pareti delle chiese rupestri sono la testimonianza di una strategia ecumenica ante litteram, moderna e inclusiva, che riusciva a inglobare le due culture, a rivisitarle attraverso le maestranze locali e a restituircele in una riuscita sintesi di rispetto, tolleranza e integrazione.

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