La chiesa rupestre di Santa Margherita

Ultima modifica 6 aprile 2021

Testo di Sergio Natale Maglio - © Tutti i diritti riservati

E' ubicata circa un chilometro ad est della masseria di Casalrotto ed  è scavata sulla parete sinistra della omonima lama. Si giunge all'interno della cripta dopo aver goduto della vista della selvaggia e prorompente vegetazione spontanea della gravina e dopo aver attraversato uno stretto camminamento a strapiombo sul burrone.
Non possediamo informazioni storiche su questa chiesa estremamente suggestiva, dalla insolita planimetria, vera e propria "perla" della civiltà rupestre per la quantità e qualità dei suoi dipinti. E’ stata forse una cappella votiva, frequentata dalla comunità monastica di Casalrotto a partire dal XII secolo, anche se la sua escavazione sembra risultare precedente. Gli ultimi studi ipotizzano che essa sia stata scavata dal IX secolo sino agli inizi del XIII, in quattro fasi che hanno portato all’allargamento del nucleo originario, scavato tra il IX e il X secolo, e alla risistemazione della chiesa.
Si pensa, infatti, che inizialmente abbia avuto una destinazione funeraria privata, con la presenza di due tombe laddove attualmente sono visibili altrettante cisterne, e che sia stata successivamente trasformata e adeguata alla celebrazione del culto pubblico di santa Margherita, denominazione occidentale di Marina, la santa protettrice delle gestanti.
Probabilmente la chiesa era molto frequentata dalle donne della comunità rupestre, in particolare dalle partorienti e quelle con problemi di sterilità. Il corredo iconografico, oltre a mostrare molte immagini della martire di Antiochia, contiene anche diverse rappresentazioni della Madonna col Bambino, in numero superiore alla media delle altre chiese rupestri di Puglia e Basilicata.  La trasformazione delle due tombe originarie in altrettante cisterne potrebbe essere stata funzionale alla celebrazione di rituali liturgici collegati alla purificazione e alla benedizione della puerpera, così come era prescritto dalla legge giudaica. La Chiesa ricorda nel giorno della Candelora quei rituali, celebrando la purificazione della Vergine, quaranta giorni dopo il parto, in coincidenza con la presentazione al tempio del Divino Infante.
La chiesa presenta una icnografia insolita e irregolare. Entrando ci si trova di fronte a un grosso invaso rettangolare, diviso  in due navate da altrettanti pilastri; il pilastro più lontano dall’ingresso è monco e regge due archetti, che introducono all’area dell’abside a fondo piatto, con un altare addossato al muro. Il primo pilastro in prossimità dell'ingresso è collegato sulla destra, attraverso un arco a tutto sesto, a un altro pilastro, il quale regge a sua volta due archi che mettono in comunicazione l’invaso rettangolare con gli altri ambienti scavati sulla destra. L’ambiente prossimo alla parete di ingresso termina in una nicchia con un gradino e un altare a dado; probabilmente si tratta dell’abside originaria della prima chiesa scavata, che aveva una dimensione minore e l’orientamento diverso dall’attuale, verso sud. Questo primitivo presbiterio è affiancato da un profondo vano di notevole ampiezza e con la parete di fondo incurvata e affrescata, che contiene un secondo altare addossato a un pilastro, una piccola apertura comunicante con l’esterno, forse occasionale e le due cisterne. Questo vano raggiunge ed è comunicante con la prima abside. Gli ambienti sono muniti del subsellia, sedile in pietra  che corre tutto intorno alle pareti.
Sul primo pilastro posto davanti all’entrata è effigiato San Pietro, alle spalle, sulla facciata del pilastro che fronteggia l’abside, vi è la figura di un probabile San Giacomo. Nel sottarco è rappresentata una coppia di santi. A destra è San Vito e sulla sinistra un santo vestito da soldato romano, designato nella iscrizione esegetica come PONCIVS.  Alcuni autori ritengono che si tratti dell’immagine più antica, sinora conosciuta, di Sant’Oronzo, che in genere è raffigurato come vescovo, ma che fino al XVII secolo sarebbe stato rappresentato nelle vesti di ufficiale imperiale. Oronzo sarebbe associato a san Vito in questo dipinto del XIII secolo perché entrambi furono martirizzati in Terra d’Otranto.
Sul pilastro che fiancheggia l’archetto destro in prossimità dell’abside  è affrescata invece Santa Margherita, in una immagine forte e delicata al tempo stesso, racchiusa in un'archeggiatura a tutto sesto, nella quale ogni elemento è riccamente decorato. La sua esecuzione curatissima, quasi miniaturistica, e l'uso di colori caldi, sottolineati dalle lumeggiature, l'hanno fatta definire dagli studiosi come uno degli esempi migliori della produzione pittorica pugliese nel periodo della dinastia imperiale bizantina dei Comneni, nella seconda metà del XII secolo. Essa è stata probabilmente influenzata da modelli di origine balcanica. Sulla parete del pilastro ortogonale a quello che ospita l’immagine della santa è invece leggibile solo il viso di un Cristo Pantocratore con nimbo crucifero, di notevole fattura.
A partire dall'ingresso della chiesa rupestre, sulla parete di sinistra si incontra Sant’Antonio Abate. Fondatore della vita monastica in Egitto,  rappresenta una delle massime figure dell'ascetismo cristiano dell'antichità. Morì a 105 anni ed è ricordato come protettore degli animali domestici.
Accanto a esso trova posto la rara rappresentazione di un Miracolo di San Nicola di Myra, il cui tema è anch’esso riferibile al mondo femminile, attinente alla protezione del santo sulle fanciulle nubili. Nella iconografia rupestre in Puglia rappresenta uno dei primi affreschi non iconici, nonché l'unico che illustri la Praxis de Tribus Filiabus, il miracolo della dote donata dal Santo a tre fanciulle povere, reso celebre da Dante Alighieri, che ne fa cenno nella Divina Commedia, nel Purgatorio. Nicola appare in sogno ad un padre, che non potendo far sposare le tre figlie a causa della povertà, pensava di farle prostituire. L’affresco mostra il santo in abiti vescovili che porge all’uomo dormiente nella stanza un sacchetto, con il denaro necessario a costituire la loro dote. Nella parte superiore dell'edificio, in una loggetta, sono rappresentate le tre figure femminili, con i volti stupefatti. La datazione proposta dagli studiosi è il XIII-XIV secolo, periodo nel quale nella pittura murale e nelle icone pugliesi cominciano ad affermarsi decisamente modelli interpretativi maggiormente legati alla cultura ed al gusto espressivo dell’occidente. La scena è quasi  identica a quella riprodotta in una celebre icona conservata a Bisceglie. Questo affresco, assieme al ciclo del Martirio di santa Margherita nella stessa chiesa rupestre, appaiono visibilmente ispirati dalle celebri icone agiografiche di Bisceglie, raffiguranti  proprio Santa Margherita e San Nicola con le scene della loro vita, datate al 1197.
Accanto a questo dipinto vi è un San Michele Arcangelo, ascrivibile al periodo angioino del XIII-XIV secolo, rappresentato in costume imperiale come Archistrategos, che reca nella mano destra una lancia e nella sinistra il keramion con una “croce di Sant’Eufemia”. L'Angelo, capo delle milizie celesti, è in perenne lotta contro il drago che sconfigge e caccia dal cielo. Il suo culto in Oriente è antichissimo, in Occidente diventa ben presto il patrono e protettore dei bellicosi Longobardi.
Segue una raffigurazione della Vergine della Tenerezza o Glycophilousa, dal volto severo, espressivo e delicato che siede su di un trono e tiene il Bambino in braccio, guancia a guancia. Anche questo dipinto risale probabilmente al XIV secolo, e  la parte bassa dell'affresco è molto rovinata.
Accanto si trova un trittico rappresentante San Lorenzo, ministro del culto della chiesa romana, che indossa il chitone di colore rosso con decorazioni circolari. In una mano porta un incensiere, un libro e una borsa. Accanto, vi è uno dei quattro evangelisti, San Marco, compagno d'apostolato di San Paolo e poi di San Pietro a Roma. Secondo la tradizione avrebbe fondato la chiesa d'Alessandria d'Egitto, ove sarebbe morto; da qui le sue reliquie sarebbero state traslate a Venezia, città della quale Marco divenne il patrono. Il trittico si chiude con un Santo Vescovo anonimo per la perdita delle iscrizioni esegetiche. Gli studiosi fanno risalire la stesura della composizione al XIV secolo.
Nell’ultima icona della parete sinistra è raffigurato San Giorgio, ritratto sul cavallo bianco nell'atto di trafiggere il drago.  Il Santo guerriero indossa alti calzari ed una tunica  con puntini bianchi, che probabilmente  intende raffigurare la maglia metallica dell'armatura. Tra il nimbo e la criniera del cavallo vi è lo scudo. Anch’esso è databile al XIV secolo, così come l’affresco vicino, il primo sulla parete dell’abside.
Sul lato sinistro dell'abside è infatti presente il dittico di Santa Margherita e della Vergine Odegitria con Bambino, rappresentate in posizione frontale. La loro presenza nella stessa composizione vuole sottolineare l’accostamento tra la protettrice delle partorienti e la Madre di Dio, nonché di tutti gli uomini e le donne.
Nell'abside, sopra l’altare decorato a cerchi e losanghe e addossato al muro, è affrescata la consueta Deesis, anch'essa ascrivibile al XIV secolo, col Cristo Pantocratore che benedice alla greca e regge il libro sacro. Il Vangelo è aperto, perché solo Cristo può avere il libro aperto, con l’iscrizione "EGO SVM / LVX M/VMVNDI / QUI SE/QUITUR / ME NO/N AMBU/LAT IN / TENEBRIS". La ripetizione della “MV”  in “MVMVNDI” è un evidente errore di trascrizione da parte del frescante del passo evangelico di Giovanni (8,12). La figura del Cristo, con il nimbo crucifero, appare sproporzionata rispetto alle altre due figure, la barba e la chioma sono ondulate ed il  manto con ampie pieghe è appena poggiato sulla spalla destra, così da lasciare libero il braccio benedicente. Egli è rappresentato tra la Vergine ed il Precursore, San Giovanni Battista, entrambi con le mani tese verso il Cristo.  
Nel sottarco destro della Déesis è leggibile una delle rare rappresentazioni in ambito rupestre della Vergine Allattante, purtroppo molto rovinata. In questa ulteriore attestazione della peculiarità femminile del tempio, è colto l’attimo molto intimo e umano della Galaktotrouphousa che stringe con l'indice e il medio la mammella mentre il Bambino alza il viso e le afferra la mano, quasi a volerla guidare verso la bocca, avida di nutrimento.  Anche questo dipinto risale probabilmente al XIV secolo.
Nel sottarco che porta dall’abside al secondo ambiente sulla destra, sono effigiati due tra i più antichi affreschi del tempietto, databili al XII secolo. Il primo presenta l'Arcangelo Michele, in una versione iconica prettamente di schema e stile bizantino. Il dipinto è molto rovinato, infatti non si distingue la mano che tiene l'asta e anche il globo che regge nell’altra è poco visibile. Il Santo presenta un atteggiamento nobile, il volto ovale con occhi a mandorla è leggermente allungato, la chioma  riccioluta è adorna di un nastro trapuntato di perle bianche, che fregiano anche il nimbo. La figura porta un ricco costume, con la stola decorata da ampie girali a forma di foglie.
Dirimpetto troviamo una ulteriore versione di Santa Margherita,  che è stata attribuita all'arte provinciale comnena. Il dipinto, che mostra una certa durezza arcaica e popolaresca, mostra la santa, con una corona a tre ordini di grosse gemme rettangolari sul capo, che ha la veste riccamente decorata di fregi di perle, detti appunto "margaritae"  e il mantello il cui drappeggio forma una specie di M gotica rovesciata, recante nella mano sinistra un libro e una croce nella destra. Ai piedi dell'affresco è presente la iscrizione deprecatoria in latino  "MEMENTO D[OMI]NE / FAMULI TUI / SARULI SA/CERDOTIS", ovvero "Ricordati o Signore del tuo servo Sarulo, sacerdote", che è presente anche in un affresco della chiesa rupestre di San Nicola.  
Affiancate a questo affresco, le decorazioni continuano sulla parete semicircolare nell’ampio vano che si apre dopo il sottarco, con i dodici riquadri che raccontano il Martirio della Santa eponima, conosciuta per la Passio greca del V-VI secolo, attribuita a Teotimo e quindi resa celebre nel Medioevo dalla Leggenda Aurea di Jacopo da Varagine. Le tavole, affrescate con stile popolaresco e disposte su due livelli, possono essere attribuite al XIII-XIV secolo e appaiono ispirate dalla icona agiografica di Bisceglie, raffigurante  Santa Margherita e le scene della sua vita, datata al 1197. In ambito rupestre, le scene del martirio della Santa sono presenti solo in questa cripta e nella chiesa di Sant'Antonio a Laterza.
La vergine Marina, molto venerata in Oriente e conosciuta come  Margherita in occidente, era nata  ad Antiochia da una nobile famiglia pagana, ma venne ripudiata dal padre perché cristiana. Un giorno, mentre custodiva un gregge, incontrò il prefetto romano Olibrio che se ne invaghì, ma ella lo rifiutò; venne quindi più volte torturata e infine decapitata  mentre pregava Dio per tutti coloro che l'avrebbero invocata, in modo particolare per le gestanti. Per questo motivo Santa Margherita è venerata come la protettrice delle partorienti.
Nelle chiese rupestri mottolesi non sono molto numerose le scene agiografiche, che mostrano episodi della vita dei santi, tranne un paio di importanti eccezioni, tra cui spicca questa rappresentazione. Le icone agiografiche avevano nel medioevo uno scopo devozionale, tipico delle immagini sacre; inoltre, intendevano mostrare l’importanza dell’ ideale etico-religioso attraverso la celebrazione dei meriti, dei miracoli e delle sofferenze del santo.
Il ciclo agiografico di Santa Margherita è suddiviso in due registri. In quello superiore, il primo pannello raffigura il prefetto Olibrio con due cavalieri al galoppo; nel secondo pannello la santa, con altre due vergini, custodisce il gregge della nutrice; nel terzo la giovane è di fronte al prefetto. Quindi seguono due scene di tortura, la prima con la santa raffigurata nuda, distesa su di un tavolo con le gambe chiuse e strette da lacci e torturata da due carnefici; nella seconda è ancora legata nuda al palo e torturata da un carnefice; infine il registro si chiude con la scena di Margherita rinchiusa in prigione con un drago, che è il demonio.
Il primo pannello del secondo registro rappresenta la santa in piedi, con un martello, nell’atto di colpire il demonio. Segue quindi un’altra scena di tortura, con la vergine nuda in una specie di cilindro, e un’altra ancora, con Olibrio che assiste mentre due carnefici la torturano infilandole ferri acuminati nel ventre. Altra scena di tortura, con la vergine nuda che viene bollita in un pentolone di acqua; segue quindi la scena del verdetto con un giudice che legge la sentenza da un rotolo aperto; infine, l’ultima scena raffigura la decapitazione della santa.
Sul pilastro centrale, di fronte alla Passio, è raffigurata una grande Vergine Odegitria, databile al XIV secolo. La Vergine con nimbo, a mezzo busto, regge sul braccio destro il Bambino benedicente che si volge ad accarezzare con gesto vivace il mento della madre. Il volto del Bimbo e la metà destra di quello della Vergine sono stati asportati in passato da ignoti vandali.
Tornando alla parete affrescata, la rappresentazione successiva alle tavole del martirio di Santa Margherita riguarda San Demetrio, primo vescovo di Tessalonica, che lottò contro le eresie. Il santo guerriero è rappresentato a cavallo mentre trafigge con la lancia una figura, con ogni probabilità il re dei Bulgari Kalojan, salvando così dall'assedio la città greca, secondo una leggenda bizantina originata da avvenimenti storici e bellici che si verificarono realmente all'inizio del XIII secolo. Pertanto l’affresco è databile anch’esso al XIII-XIV secolo.
Stessa datazione e stesso fondo tripartito in zone orizzontali sovrapposte per il dipinto seguente, un Santo Stefano di chiara fattura popolaresca. Il nimbo è limitato da perle, il volto, di forma ovale allungata, presenta guance rosse e occhi troppo vicini ma estremamente espressivi. In santo, che indossa una tunica chiara con pieghe malamente distribuite, ricche decorazioni a losanghe e lo scollo decorato con perle, ha in mano il libro e l'incensiere.
Subito dopo troviamo un altro altare, addossato alla parete, probabilmente risalente al X secolo, con una insolita decorazione lineare, rossa e nera, e con losanghe e spirali; sopra lo stesso appare la figura di un Cristo Pantocratore a mezzo busto, in ocra rossa e giallo, seduto su una cattedra e benedicente, mentre regge con la sinistra il rotolo della legge. Sembra essere stato realizzato successivamente all’altare e potrebbe trattarsi di una sinopia, disegno preparatorio di un affresco rimasto incompiuto. Presso l’altare trovano posto le due cisterne, scavate nella roccia e collegate tra loro da un efficiente sistema di incanalamento, che convoglia nelle stesse le acque piovane provenienti dal banco roccioso esterno.
A destra delle cisterne, segue sulla parete un’altra Vergine della Tenerezza, seduta in trono: il Bambino si volge con gesto vivace ed espressione molto dolce ad accarezzare il mento della madre. Le figure sono tracciate a tratti scuri e hanno mani molto allungate e vesti con numerose pieghe indicate da tratti scuri. Gli studiosi collocano questa rappresentazione al XIV secolo.
Il secondo altare presenta una decorazione con girali che si concludono con una croce, che è stata attribuita da alcuni studiosi al  periodo iconoclasta, ovvero ai primi decenni del IX secolo. In realtà, sembra più probabile che questa decorazione possa essere stata realizzata nel primo periodo post-iconoclasta, quando ancora non si era pienamente diffuso nella consuetudine liturgica il ritorno alla rappresentazione delle icone nei luoghi sacri. Al di sopra di queste decorazioni, era stato realizzato successivamente il palinsesto di un’altra Deesis, della quale restano visibili solo alcuni brandelli.
Sulla parete alla destra dell'altare è raffigurato quindi San Giovanni Evangelista, benedicente alla greca e con il libro chiuso del Vangelo. L’affresco presenta nella parte inferiore molti graffiti devozionali.
Infine, tornando nell’aula quadrangolare, alla sinistra dell’ingresso, dopo la immagine poco leggibile di una Santa anonima, troviamo l’ennesima raffigurazione di una Vergine della Tenerezza, che consegna il saluto di commiato al visitatore di questa insolita e affascinante chiesa rupestre, tutta declinata al femminile.

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