Il bosco di Sant'Antuono

Ultima modifica 13 maggio 2020

Testo di Sergio Natale Maglio - © Tutti i diritti riservati

Il bosco di Sant’Antuono, area di alto pregio naturalistico, è inserito nel Parco Naturale Regionale – Parco delle Gravine, nel Sito di Importanza Comunitaria – Area delle Gravine e nella omonima Zona di Protezione Speciale, finalizzata al mantenimento di habitat per la conservazione e gestione delle popolazioni di uccelli selvatici migratori  
Il complesso boscato di circa 520 ettari di proprietà comunale, attraversato dalla strada provinciale n.36 Mottola-Martina Franca, si snoda in dolci collinette dalla morfologia poco accidentata tra i 450 ed i 400 m. s.l.m. in direzione N-SW su un vasto altopiano del gradino murgiano, che poi degrada rapidamente ai 300 metri di quota verso il territorio di Massafra.
Dal punto di vista geologico il pianoro boscato è ricoperto di sedimenti del Pliocene e del Pleistocene, cui fanno seguito i terreni del Cretaceo della Murgia Alta che culminano, al confine con il territorio di Massafra, in una scarpata di faglia incisa dall'azione delle acque, che forma la gravina di Corneto, ad andamento N-SW, che forse si è sviluppata in una preesistente linea di frattura  di natura tettonica, a seguito dell'azione erosiva delle acque.
Il bosco di Sant'Antuono occupa la sottozona media e fredda del Lauretum a siccità estiva. Le precipitazioni idriche sono concentrate nel periodo autunnale ed invernale, con una media di 700 mm. annui.
Questo bosco è posto in un'area di transizione che in pochi kmq mostra e riassume tutte le espressioni del territorio murgese, dal bosco di fragno alle gravine, con tutte le forme intermedie di passaggio dall'una all'altra cenosi. Così è presente il bosco mesofilo a fragno e roverella, che abbisogna di un certo grado di umidità media; il bosco mesofilo a leccio, roverella e fragno; la boscaglia a leccio e la macchia a pino d'Aleppo; la macchia-gariga xerofila (arida) a pino d'Aleppo.
Il bosco a fragno e roverella si sviluppa su terreno tufaceo, dai 430 ai 400 metri s.l.m. Il querceto di caducifoglie presenta nel sottobosco prevalentemente varietà arbustive ed erbacee come: il Perastro (Pirus communis var. amygdaliformis), il Biancospino (Crataegus oxyacantha var. monogyna), l'Oleastro (Olea sylvestris), il Prugnolo (Prunus spinosa), il Terebinto (Pistacia therebintus), il Lentisco (Pistacia lentiscus), il Prunello (Rhamnus saxatilis), il Rhamnus catharticus, il Pungitopo (Ruscus aculeatus), l'Asparago (Asparagus acutifolius), la Fillirea (Phyllirea media), il Cisto marino (Cistus monspeliensis).
Il bosco mesofilo a leccio, roverella e fragno, che si stende tra i 400 ed i 360 mt. s.l.m., è legato alla formazione calcarea del tipo a dolomia grigio scura. Nel sottobosco ritroviamo soprattutto Fraxinus ornus, Phillirea angustifolia, la Fillirea (Phillyrea media), l'Alaterno (Rhamnus alaternus), il Terebinto (Pistacia therebintus), il Lentisco (Pistacia lentiscus), il Cisto rosso (Cistus incanus), la Rosa agrestis.
Più in basso, tra i 360-320 m. s.l.m., troviamo il bosco e boscaglia a Leccio e macchia a Pino d'Aleppo. Riducendosi le condizioni di umidità del bosco, questa zona presenta un aspetto diverso dalla foresta di caducifoglie, accogliendo parecchie specie della originaria foresta sempreverde e della macchia mediterranea xerofila. Sono presenti grossi cespugli di Corbezzolo (Arbutus unedo), Phillirea angustifolia, la Fillirea (Phyllirea media), Viburnum tinus, il Lentisco (Pistacia lentiscus); si affermano le specie lianiformi quali Smilax aspera, Tamus communis, Lonicera implexa, Rubus canescens, Rubus ulmifolius, Clematis flammula, Rubia peregrina. Altre piante ampiamente presenti nel sottobosco sono il Pungitopo (Ruscus aculeatus), i cisti (Cistus monspeliensis, Cistus salvifolius), il Rosmarino (Rosmarinus officinalis), il Ginepro coccolone (Juniperus oxycedrus).
A quote ancora più basse, presso la gravina di Corneto, si afferma la macchia-gariga a Pinus halepensis, con la presenza di leccio e pino d'Aleppo in forma cespugliosa, il Lentisco, il  Mirto (Mirtus communis), il Rosmarino (Rosmarinus officinalis), Daphne gnidium, il Timo (Timus capitatus), Crataegus monogyna, il Salvione giallo (Phlomis fruticosa), Prunus spinosa.
La gravina di Corneto prende il nome dal Corniolo (Cornus mas), raro nelle Murge. Il corniolo era l’albero che veniva utilizzato per la realizzazione delle micidiali sarisse dell’esercito di Alessandro Magno, ovvero le lunghe lance dei fanti macedoni, che erano lunghe fino a 6-7 metri. L’essenza è qui  presente in forma di arbusto o piccolo albero, assieme ad arbusti di Albero di Giuda (Cercis siliquastrum) e di un’altra pianta abbastanza rara in Puglia, l’Acero minore (Acer  monspessulanum), che si trova anche nel bosco di Lama Cupa.  I versanti della gravina sono ricoperti da una fitta lecceta.
Tra le rarità presenti in questo splendido bosco si deve annoverare la presenza della rara Luciola Lusitanica, specie che vede sia maschio che femmina emettere luce intermittente durante il volo, oltre alla Lampyris Noctiluca, una lucciola che non può volare e della quale solo la femmina emette luce continua. Anche grazie allo spettacolo fornito dalla presenza  di nutrite colonie di queste lucciole, che si possono ammirare nelle serate primaverili, soprattutto tra maggio e giugno, il sito può essere considerato uno dei più preziosi scrigni naturalistici della Puglia.
All'interno del bosco, nei pressi della S.P. n.36, lungo un tratturo che porta alla gravina di Corneto si può osservare una grande cisterna per la raccolta delle acque piovane. A poche centinaia di metri, lungo la strada che porta a Martina Franca, si affaccia la "lamia", una caratteristica costruzione realizzata nel 1848 in pietra calcarea, utilizzata come alloggiamento di distaccamenti della Guardia Nazionale nel periodo del brigantaggio. La lamia, ingrandita nel 1934, viene attualmente utilizzata come rifugio di pastori e cacciatori.
Poco distante dalla lamia vi sono i resti della base missilistica che nel secondo dopoguerra fece parte della rete di postazioni che furono impiantate sulla Murgia dalla Nato negli anni della Guerra Fredda, con batterie di missili nucleari puntati contro i paesi dell’Est e l’Unione Sovietica. La base, gestita dall’aeroporto militare di Gioia del Colle, ospitò tra il 1960 e il 1963 tre missili a testata nucleare PGM-19 Jupiter, con portata dai 1000 ai 5500 chilometri, aventi ciascuno la potenza di un megatone, ovvero cento volte più potenti della bomba atomica sganciata a Hiroshima. Dopo la stipula dell’accordo che venne siglato da John F. Kennedy e Nikita Kruscev, a seguito della crisi di Cuba, nel 1963 i missili nucleari vennero ritirati e la base fu smantellata.