La Torre dell'Orologio e la civica università

Ultima modifica 6 maggio 2020

Testo di Sergio Natale Maglio - © Tutti i diritti riservati

Nell’apprezzo del 1652 di parla del “campanile con tre campane attaccato al Palazzo dell’Illustrissimo Signor Vescovo, con relogio a campana”. La descrizione si riferisce  con ogni evidenza al campanile della cattedrale, e non certo all’“Orologgio” che viene invece citato nella didascalia del numero “4”, nel disegno di Cassianus da Silva. La incisione, riportata nell’opera di Giovanni Battista Pacicchelli, risale infatti al 1684, oltre trent’anni dopo l’apprezzo. Nella tavola di Cassianus il numero “4” contrassegna, infatti, una Torre dell'Orologio ben visibile e distante dal campanile della cattedrale, che a sua volta è segnato con il numero “1”.
Pertanto, la Torre dell’Orologio che è visibile nell’attuale piazza Plebiscito, con ogni probabilità venne edificata tra il 1652 e il 1684, nel periodo in cui ebbe inizio la ripresa economica, demografica e sociale della cittadina. Essa faceva parte del complesso di edifici pubblici che ospitavano il carcere e il municipio, e che furono la sede della civica "università", ovvero del governo della città, sino alla fine dell'Ottocento.
Nel Seicento a Mottola l’università era governata dal Sindacato, con funzioni puramente amministrative, composto da un Sindaco e quattro cittadini “reggimentari” che venivano eletti il 15 agosto, “in publico parlamento”, attraverso una assemblea consultiva e deliberante. I magistrati venivano proposti al parlamento dal sindaco uscente in accordo con il “Capitano”, ovvero il governatore della città, che era nominato dal feudatario. Le attività del Sindacato venivano controllate dal governatore, oltre che dai “razionali”, che erano funzionari della Regia Udienza provinciale.
Al governatore, di solito, il feudatario delegava il  compito di amministrare la giustizia nel feudo, con l’assistenza del “mastrodatti” che svolgeva le funzioni di cancelliere. Queste due figure costituivano la “corte baronale”, che veniva rinnovata di anno in anno, decideva in materia civile e penale e poteva anche emanare sentenze di morte. Normalmente in materia penale la giurisdizione della corte baronale era riferita ai piccoli reati, perché per quelli più gravi esercitava solo le funzioni di polizia giudiziaria. In materia civile la sua competenza era limitata alle cause il cui valore non superava i quattro-cinquemila ducati.
Inoltre, in ogni università vi era un “giudice a contratti”, nominato dal Sacro Regio Consiglio, che redigeva e regolava gli obblighi nelle contrattazioni civili e private, e li rendeva esecutivi in caso di inadempimento da parte degli obbligati.
L’ordine pubblico era vigilato dal “camerlengo” o “mastrogiurato”, in collaborazione con la corte baronale della città; la pubblica igiene e la manutenzione delle strade dai “portolani”; l’annona era appannaggio dei “catapani” o “grassieri”. Al giudice o “mastro baglivo” spettava far osservare le norme di polizia locale, amministrando cause di valore sino a due agustali, ossia trenta carlini. Infine, durante le fiere, che di solito duravano diversi giorni, veniva nominato un funzionario straordinario, il “mastromercato” o “maestro della fiera”, al quale per tutta la durata della fiera veniva affidata la più ampia giurisdizione civile e penale, sostituendo in tale compito il governatore.