Il villaggio rupestre di Petruscio - La torre di Petruscio
Ultima modifica 6 aprile 2021
Testo di Sergio Natale Maglio - © Tutti i diritti riservati
Ci troviamo a circa 150 metri sul livello del mare, a poco meno di due chilometri dal centro abitato di Mottola. Dagli spalti della gravina di Petruscio lo sguardo del visitatore può spaziare sulla fertile pianura tarantina che si incontra all'orizzonte con l'azzurro mare Jonio, ad una decina di chilometri di distanza, e allo stesso tempo gustare lo spettacolo dei versanti del burrone, traforati da centinaia di grotte ed aperture. Il villaggio rupestre mostra imponenti "grattacieli" di grotte scavate in ambedue i versanti a picco della falesia, per la lunghezza di circa seicento metri. Le grotte artificiali – il cui numero è stimato in non meno di duecento, nascoste in gran parte dalla fittissima vegetazione – sono scavate nella tenera calcarenite e contenevano abitazioni, laboratori, ripostigli, ricovero di animali e pastori. Le case-grotta, collegate nei diversi piani del “grattacielo” da stretti sentieri, in qualche caso mostrano prolungamenti dell’abitazione in capanni esterni alla stessa, attestati dalle numerose buche ove alloggiavano i pali portanti di queste strutture, visibili sulle cengie e i pianori della gravina.
A Petruscio lo scavo delle case-grotta risulta relativamente "estensivo", ove possibile sui versanti della gravina presso le abitazioni vi sono spazi, con piccolissimi ortali che venivano coltivati dagli abitanti. L'attuale aspetto lussureggiante della flora di Petruscio doveva essere notevolmente ridotto, grazie all'utilizzo delle pertinenze delle grotte-abitazioni per la coltivazione di ortaggi e la custodia di piccoli greggi di ovini e caprini.
Dopo la discesa dallo spalto ovest attraverso la spettacolare scalinata di accesso, con i gradini scavati nella roccia e modellati sulla forma dei piedi, si procede obbligatoriamente verso nord lungo un pittoresco sentiero con una rigogliosa vegetazione arbustiva e arborea, che porta alle grotte del villaggio. La prima casa-grotta che si incontra è rappresentativa della tipologia più ricorrente nel villaggio rupestre. L’abitazione ha un piccolo ortale davanti l'ingresso, con una mangiatoia e una vasca-abbeveratoio per animali. Presso la grande cisterna a campana sulla parete rocciosa è graffita una croce patriarcale, a doppia traversa, tipica del periodo post iconoclasta.
La cisterna presso la abitazione è un esempio evidente della ingegnosa e paziente raccolta delle acque da parte dei trogloditi medievali. Fungeva da recapito finale di una serie di canalette scavate nel banco roccioso per la raccolta delle acque, si presenta ancora intonacata e ha una profondità di oltre quattro metri. Accanto alla stessa è ancora evidente il foro di alloggiamento della porticina lignea, che era posta all'ingresso della grotta, mentre sulla sinistra è scavata nel tufo una piccola vasca con strigaturo per lavare i panni.
All’interno della abitazione la famiglia conviveva con animali di piccola taglia, pecore o capre o un piccolo asino. L'ambiente è diviso in due aree ben distinte da un pilastro centrale risparmiato nello scavo: a sinistra lo spazio riservato agli animali, a destra gli spazi utili alla famiglia ed il focolare. Nell'area riservata agli animali, sulla parete ed ancor di più sul pavimento, sono evidenti i buchi ove si impiantavano le palificazioni che formavano tre piccoli steccati e al di sopra di essi un ampio foro areatore. Questa zona presenta una mangiatoia, un nicchione per conservare la paglia, una nicchia più piccola per conservare strumenti e finimenti e due fovee. La fovea più vicina all'ingresso serviva probabilmente a raccogliere le deiezioni degli animali, quella più lontana era utilizzata per la conservazione delle granaglie alimentari. Sulla destra dell'ingresso trovava posto il focolare, con la cucina a pianta semicircolare, dotata di una ampia finestra e di canna fumaria, nella quale una serie di fori orizzontali posti a poco più di mezzo metro dal pavimento fanno supporre l'esistenza di un piano di lavoro o di un sedile. La grotta, ricca di reperti fossili, presenta ancora sulla parete destra una nicchia per oggetti e vestiario e due grandi nicchie-alcove che sono poste di fronte all'ingresso; nelle loro pareti si intravedono chiaramente i fori ove alloggiavano le palificazioni che sostenevano i giacigli degli abitanti della grotta.
Un’altra tipologia, più complessa, è visibile nella cosiddetta "Casa dell'Igumeno", posta su un livello superiore. È una struttura abitativa rupestre della lunghezza di mt. 15,00 circa, dotata di due ingressi che riproducono con finte arcate gli architravi romanici. Vi sono due ingressi, che fronteggiano due grandi nicchie-alcove, mentre sulla parete destra si apre la bassa porticina di un piccolo vano, sulla cui architrave sono incise tre croci. Entrando dall’ingresso di sinistra, sempre sulla sinistra è visibile un vano semisferico adibito a cucina-focolare, con una piccola finestra, la caviglia per appendere la caldaia e tracce degli originari piani di lavoro. Di fronte alla cucina si apre un vano dotato di due nicchie, ciascuna delle quali presenta quattro incavi per alloggiare i capasi, recipienti tradizionali nei quali venivano posti i cibi a lunga conservazione. Da questo vano si accede ad una ulteriore grotta-deposito, posta su livello più basso.
La cura nella escavazione, le dimensioni dell'antro, la presenza di numerose croci graffite alle pareti hanno fatto supporre che la Casa dell'Igumeno sia stata la dimora di un personaggio di una certa importanza, molto probabilmente religioso; infatti l'igumeno era il capo spirituale delle comunità di monaci orientali. Questa ipotesi era rafforzata dalla sua vicinanza alla grande chiesa rupestre attigua, denominata Cattedrale. La mancanza in questa grande abitazione di un pozzo o di una cisterna per l'indispensabile approvvigionamento idrico, nonché la assenza di spazi riservati agli animali, fa pensare che essa fosse collegata con la prima casa-grotta, di cui abbiamo parlato; le due strutture dovrebbero aver costituito nell'insieme un unico complesso abitativo, una sorta di "palazzo" ove dimoravano più persone e nuclei familiari, nel quale i servizi comuni erano "decentrati" al livello più basso.
Tornando indietro sulla cengia ovest, subito dopo la casa-grotta inizia una ripida scalinata arcaica, molto simile nella struttura a quella di accesso al villaggio e ancora più rozzamente sbozzata nella roccia, che attualmente non è praticabile. Percorrendola si arriva verso il fondo della gravina e al suo termine si trova una vasca litica, probabile abbeveratoio per gli animali da soma che riuscivano a percorrere gli impervi sentieri della gravina. Attualmente non è possibile guadare il corso d'acqua che scorre sul fondo della gravina, proveniente dal depuratore comunale della città di Mottola.
E’ possibile accedere al villaggio anche dallo spalto orientale, attraverso una scalinata accessibile nei pressi di un'altra piccola chiesa rupestre del villaggio, la cosiddetta Chiesa del greppo est, localizzata sul bordo superiore del canyon. Scendendo attraverso un canalone, nel quale sono scolpiti i caratteristici scalini irregolari, si arriva alla cengia mediana dello spalto orientale, che limita a sud l'estensione dell'antico abitato. Percorrendola verso settentrione si incontra quasi subito un elemento insolito nel contesto del villaggio rupestre, vale a dire una muraglia di conci calcarei legati con abbondante malta, che presenta tipologie costruttive simili a quelle della torre dello spalto occidentale. Il muro ha una altezza massima di mt. 4,5 e, secondo la testimonianza di alcuni studiosi, alla fine dell'800 presentava ancora una apertura, che è stata interpretata come la porta di accesso alla "piazza" di Petruscio. In effetti, la zona circostante al muro mostra numerose tracce di palificazioni sul banco roccioso, sedili, canalette e vasche litiche per la raccolta delle acque, aree di stazionamento degli animali da soma, e muretti a secco per il contenimento del terreno e del sentiero, che fanno pensare ad un'area riservata alle attività comuni degli abitanti del villaggio. Dopo aver esplorato le numerose grotte successive al muro, tornando indietro sul sentiero e riprendendo la stretta scalinata di accesso si può scendere fino quasi al letto della gravina. Qui non troviamo grotte, bensì un ombroso e suggestivo “viale dei lentischi”, con una rigogliosa vegetazione di acanto (acanthus mollis L.), la pianta che ispirò agli antichi Greci la tipica decorazione dell'ordine corinzio. In questo tratto si possono ammirare dei veri e propri maestosi alberi di pistacia lentiscus dell'altezza di qualche metro. Dobbiamo ricordare che questa specie vegetale, tipica della macchia mediterranea, normalmente si presenta sotto forma di arbusti. Sicuramente i lentischi assumono nella gravina di Petruscio, in particolare in questa zona, uno sviluppo arboreo davvero eccezionale per effetto del microclima e della costante umidità presente nel fondo della depressione. Però, nella loro abnorme ed incredibile grandezza – si possono misurare tronchi della circonferenza di 80 cm. – vi potrebbe anche essere un elemento "artificiale", probabilmente il risultato di una "esplosione vegetale" verificatasi negli ultimi lustri dopo la interruzione della potatura a cui gli arbusti erano periodicamente sottoposti in passato. Infatti, fino a qualche decennio fa, le fascine di rami di lentisco e di altri arbusti della macchia mediterranea erano raccolte almeno una volta all'anno nelle gravine e nelle garighe, ove queste piante crescevano spontaneamente e rigogliosamente, per alimentare il fuoco delle grandi car'cher interrate ove i carcar'ul "cuocevano" per intere settimane i blocchi calcarei, secondo un antichissimo procedimento che per secoli ha procurato alle popolazioni della zona la preziosa calce, utile all'edificazione, al decoro ed all'igiene delle abitazioni.
LA TORRE DI PETRUSCIO
Anche sugli spalti pianeggianti ai margini della gravina si ritrovano numerosissime tracce di insediamenti abitativi e non, che facevano capo al grosso villaggio ipogeo, in particolare ad ovest presso il vecchio tracciato della ex statale 100. Il reperto più visibile e interessante è senza dubbio rappresentato della “torre di Petruscio”. Si tratta di un pyrgoi, la torre di avvistamento del castellum rupestre. Sono visibili i resti dei muri perimetrali della costruzione a pianta rotonda, avente circa 8 metri di diametro, con le murature dello spessore di circa mt 1,40 realizzate con blocchetti di pietra calcarea rozzamente squadrati e cementati con abbondante malta, secondo le tecniche costruttive locali d'epoca longobarda e bizantina. Ai piedi della antica costruzione, ai margini di una antica carraia che costeggia il burrone, è ancora chiaramente visibile una mangiatoia-posta monolitica per equini, scavata nel tufo e con tre vasche ovoidali, delle dimensioni di mt. 3,60 x mt. 3,00. Nei dintorni della torre sono leggibili resti di muraglie megalitiche, buche per l’alloggiamento di pali per capanne, abbeveratoi, officine artigiane e cave. Gli scavi archeologici effettuati nel 2006 hanno portato al ritrovamento all'interno della torre di frammenti di ceramica del XII secolo, seppelliti dal crollo dei muri perimetrali probabilmente per cause belliche, permettendo così di fissare una datazione certa del termine di utilizzo di questa struttura difensiva del villaggio rupestre.
I dati archeologici confermano quindi l'ipotesi che il villaggio sia stato abbandonato per motivi imprecisati dai suoi numerosi abitanti nel XII secolo, mentre la documentazione storica ed archivistica relativa all'insediamento medievale è molto limitata. Il al primo accenno al "loco casalis Petrugii" si trova, in una donazione del 1227. In epoca moderna la gravina passò a far parte dei beni della Mensa Vescovile, ed in un contratto di fitto del 1686 si accenna tra l'altro alla presenza in loco di numerosi alveari (avvucchiari).
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