Casa Isabella - Il Museo del Duca di Martina a Napoli

Ultima modifica 7 maggio 2020

Testo di Sergio Natale Maglio - © Tutti i diritti riservati

Alla morte dell’ultima duchessa della stirpe Caracciolo, Maria Argentina (*11-10-1805 + 30-11-1849) il titolo oramai onorifico di sedicesimo duca di Martina venne trasmesso al secondo figlio Placido (*29-8-1829 + 1891), assieme alla maggior parte delle proprietà mottolesi della casata. Il primogenito Nicola (* 27-8-1827 + 1-2-1901), invece, ereditò dalla madre i titoli di conte di Brienza e conte di Buccino, nonché alcune masserie in territorio di Mottola, ovvero Isabella, Beatrice, Riccarda, Argentina, Bellaveduta, Pizziferro, Dolcemorso, Giammariarizzi, Le Grotte, Stingeta, Bellavista e Casalrotto. Lo stesso Nicola nel 1861, alla morte nell’assedio di Gaeta del padre Riccardo, luogotenente del re Franceschiello, ereditò i suoi beni in Abruzzo e il titolo di quinto duca di Sangro.
Nel 1863 la casa ducale di Martina acconsentì che la Società Italiana per le Strade Ferrate Meridionali costruisse senza indennizzi nelle terre ducali la ferrovia Gioia del Colle-Taranto, ottenendo la contropartita della realizzazione di uno scalo ferroviario a San Basilio, nel quale si sarebbero dovuti fermare tutti i treni in transito per i successivi cinquant’anni. Il primo treno, con trecento persone, giunse a San Basilio il 15 settembre 1868.
L’accordo che era stato raggiunto dette all’azienda ducale l’inestimabile vantaggio di poter utilizzare la ferrovia per il trasporto e la commercializzazione dei prodotti agricoli anche nella ex capitale partenopea. Questo fattore innovativo ispirò ai fratelli de’ Sangro una maggiore attenzione per i possedimenti mottolesi, tanto che qualche anno dopo a ridosso dello scalo venne fatta costruire da Nicola una imponente struttura residenziale. Oltre a contenere i piani nobili, nei quali dimorava la famiglia del duca di Sangro durante i soggiorni estivi e le battute di caccia, essa ospitava nel piano terreno i vasti magazzini granari nei quali venivano stivati i cereali e le derrate alimentari prodotti nei latifondi e nelle masserie, che venivano esportati e commercializzati attraverso la rete ferroviaria.
Nicola aveva sposato nel 1851 Isabella (* 10-12-1831 + 12-6-1879), figlia del principe di Ottaviano e duca di Sarno, del ramo napoletano della celebre casata de’ Medici. Il nuovo edificio venne chiamato in suo onore “Casa Isabella” e venne progettato dall’architetto abruzzese Giuseppe Barone, intimo dei nobili fratelli. L’imponente struttura, della lunghezza di metri 79x25 di larghezza , è disposta su tre livelli, con due ampie terrazze al primo piano, e conta circa sessanta tra stanze e magazzini disposti attorno all’ampio atrio centrale. Sul retro del palazzo, verso oriente, si apre il grande parco di un ettaro e mezzo, con viali alberati, piante ed essenze tipiche della macchia mediterranea, siepi e panchine.
L’edificio venne terminato nel 1876. Purtroppo l’amata consorte poté godere Casa Isabella per ben poco tempo, perché morì appena tre anni dopo. Nicola fece quindi affiggere una lapide marmorea, che si trova davanti l’ingresso alla cappella del palazzo, a piano terra nell’atrio:
In questo punto culminante della Japigia / Innanzi al quale si stende / il più vasto orizzonte dell’Italia meridionale / il duca Nicola de’ Sangro / Erse dalle fondamenta questa casa / per menarvi la consorte Isabella de’ Medici / Vita imperturbata dallo strepito delle grandi città / Compiuta l’opera l’impareggiabile donna / Fu chiamata al soggiorno della patria beata / Il marito inconsolabile per la perdita / Di una consorte che eccelse doti di mente e di cuore / Aveva immolato le virtù di Marianna de’ Medici madre di lei / E della suocera Argentina Caracciolo di Martina / Pose questa memoria / Per eternare il ricordo / Di questa triade matronale / Gloria e onore dei Caracciolo, de’ Medici e de’ Sangro / MDCCCLXXIX /.
La cappella conserva una elegante lapide commemorativa in marmo, trasportatavi di recente, che faceva parte originariamente di un’altra cappella padronale dei de’ Sangro, quella ubicata presso il Casino del Duca. Essa fu commissionata a Giuseppe Barone nel 1886 dal duca Placido, per ricordare l’operato della madre. L'iscrizione ricorda come Maria Argentina, nel 1845, avesse fatto realizzare il restauro della cappella, costruita sopra la chiesa ipogea medievale scavata nel tufo, a due navate e due absidi, contenente i resti di affreschi sacri. A seguito della autorizzazione di Papa Gregorio XVI, la cappella era stata consegnata a un cappellano che aveva il compito di somministrare i sacramenti agli infermi, curare le anime e istruire i fanciulli della borgata rurale.
L’iscrizione, a lettere capitali,  è racchiusa in un spazio rettangolare delimitato da due semicolonne con capitelli che sorreggono un arco bilobato. Al centro dei due lobi campeggiano gli stemmi della famiglia de Sangro a sinistra e Caracciolo a destra, sotto i quali è riportato il monogramma di Cristo. L'estradosso dell'arco bilobato  presenta tre tondi, con una croce centrale tra due stelle di Davide.
Alla morte di Placido, nel 1891, Nicola ricevette anche il titolo di duca di Martina, mentre tutti i beni del fratello andarono al figlio secondogenito, anch’egli di nome Placido (* 17-6-1866 + 15-9-1911). Essendo questi morto senza figli nel 1911, anche Casa Isabella passò al nipote Riccardo (* 4-4-1889 + 16-1- 1978), primogenito del figlio Giuseppe e di Maria Guevara Suardo, assieme al resto dei suoi beni e titoli nobiliari. Riccardo, che è stato l’ultimo duca di Martina, dopo essersi laureato in giurisprudenza, intraprese la carriera militare, giungendo ad essere aiutante in campo del principe ereditario Umberto II.
Nella parte finale della Seconda Guerra Mondiale e nell’immediato dopoguerra, il palazzo venne ripetutamente utilizzato dai militari stranieri. All’arrivo delle truppe alleate della 1st Airborne Division inglese a Mottola, il 9 settembre 1943, Casa Isabella venne requisita per pochi giorni dai tedeschi della 1° Fallschirmjager Division che stavano ripiegando, come abitazione del loro comandante. Successivamente fu utilizzata come sede del comando delle truppe inglesi , tanto che nel suo giardino vennero seppelliti quattro paracadutisti inglesi che erano morti nei combattimenti. Dal  1944 al 1946, infine, il palazzo ospitò il generale Weadslaw Anders, comandante del 2° Corpo d’Armata polacco che si era insediato nella zona.
Fino al 1978 Casa Isabella ha ospitato il grande archivio Caracciolo - de’ Sangro, ovvero la “Sezione Antica” che comprende il materiale cartaceo e pergamenaceo riguardante il periodo che intercorre tra la metà del XIV secolo e l’inizio del XX secolo; la “Sezione Contemporanea” con tutta la documentazione amministrativa e contabile dei possedimenti della casa ducale a Mottola, Massafra, Martina e Napoli, dalla seconda metà del XIX secolo alla prima metà del XX secolo. Attualmente l’archivio storico delle famiglie ducali è conservato presso la Biblioteca Comunale di Martina Franca.

IL MUSEO DEL DUCA DI MARTINA A NAPOLI
Tra i beni che Placido Caracciolo, figlio di Nicola, aveva ereditato dallo zio omonimo, era compresa la splendida collezione di opere d’arte che questi aveva messo assieme soprattutto durante gli otto anni della permanenza in esilio volontario a Parigi, subito dopo la caduta dei Borboni. In quegli anni era entrato in contatto con i maggiori collezionisti europei, come i Rothschild, avviando un’eccezionale collezione d’opere di arti decorative di manifattura occidentale e orientale, che andavano dal XII al XIX secolo, il cui nucleo più cospicuo era costituito dalle ceramiche.
Esperto ed appassionato conoscitore d’arte, il duca Placido acquistò nelle maggiori capitali europee migliaia di oggetti, realizzando una imponente collezione di produzioni artistiche “minori”, come vetri, cuoi, coralli, avori, smalti, tabacchiere e soprattutto porcellane e maioliche. Egli figura, dunque, tra i principali interpreti della entusiastica rivalutazione delle cosiddette “arti minori”, che durante l’Ottocento si era diffusa nelle principali capitali d’Europa, sull’onda delle grandi Esposizioni Universali, e che aveva modificato in modo sostanziale il gusto ed il concetto stesso di collezionismo, portando alla formazione, nel volgere di pochi decenni, di innumerevoli collezioni e musei dedicati alle arti applicate.
Questa sterminata collezione venne acquistata grazie ai proventi della proprietà che il duca aveva ricevuto in eredità dalla madre, pertanto sostanzialmente con il denaro che proveniva dalle terre e masserie mottolesi.
Il nipote Placido, alla sua morte, nel 1911, donò alla città di Napoli la preziosa collezione composta da circa seimila pezzi. Fu Giovanni Gentile, ministro dell’Educazione Nazionale, a destinare nel 1924 al museo la sede della Villa Floridiana, che era stata costruita nel 1816 dall'architetto Antonio Niccolini quale residenza di villeggiatura per Lucia Migliaccio, duchessa di Floridia, moglie morganatica di Ferdinando I di Borbone dopo la morte di Maria Carolina.
Il Museo Duca di Martina di Napoli, facente parte del Polo Museale della Campania, costituisce attualmente una delle maggiori collezioni italiane di arti decorative. Al piano terreno di Villa Floridiana sono esposte le maioliche, come le ceramiche ispano-moresche della manifattura di Manises, le maioliche rinascimentali di Deruta, Gubbio, Faenza, Palermo e le quelle seicentesche di Castelli di Abruzzo. Il primo piano del museo è invece dedicato alle porcellane, tra le quali le raccolte della manifattura sassone di Meissen, quelle di Capodimonte e di Napoli, e ancora quella del marchese Ginori a Doccia, oltre alle porcellane francesi di Chantilly, Rouen, Saint Cloud, Mennency e di Sèvres. Sono esposte quindi porcellane austriache, tedesche e italiane, oltre ad una vasta raccolta di porcellane cinesi e giapponesi, nonché bronzi, giade e smalti.