L’enigma di Mottola classica

Ultima modifica 5 maggio 2020

Testo di Sergio Natale Maglio - © Tutti i diritti riservati

“Attestandoci per ora ad una generica datazione al IV secolo avanti Cristo, la scoperta delle mura di Mottola ripropone il dubbio, ricorrente per altri siti, se si tratti di un insediamento indigeno, per quanto aperto agli influssi culturali greci, o non si tratti di un avamposto greco fortificato posto ai limiti della chora tarantina”.
Con queste parole, nel 1995, il Soprintendente Giuseppe Andreassi sintetizzava un interrogativo molto importante per la ricerca storica riguardante il territorio jonico. Non sappiamo tuttora con certezza se il centro fortificato di Mottola sia stato realizzato dai Peuceti o dai Tarantini. I rapporti tra le due popolazioni erano stati molto tesi nel corso del V secolo. Nel 473 a.C., dopo l’invasione tarantina di Carbinia, l’attuale Carovigno, le truppe peucete si unirono a quelle messapiche per contrastare l’espansionismo della colonia spartana e si scontrarono con i Tarantini, alleati con i greci di Reggio Calabria. La battaglia di Kailia viene ricordata come il più grande eccidio di Greci nell’antichità. Pochi anni dopo, però, Taranto si rifece, ribadendo sul campo la propria egemonia sui vicini ribelli.
Dall'ultimo quarto del V secolo si affermò la pace tra Peuceti e Tarantini, che nella seconda metà del IV secolo furono alleati nelle lotte contro i Lucani, sul confine nord ovest della chora. In questo stesso periodo nacquero molte città peucete, il più delle volte fortificate con mura difensive che adottavano una tipologia costruttiva prettamente greca.
La colonia spartana, d’altra parte, in quel periodo rafforzò l’occupazione capillare del territorio intorno alla sua chora. Alcuni studiosi, in relazione al quesito posto da Andreassi, ritengono che la realizzazione nel IV secolo a. C. di un centro fortificato sulla altura dell’attuale Mottola sia stato ispirato dall’esigenza di Taranto di controllare e raccordare agevolmente una serie di nuovi insediamenti agricoli che sorsero in quei decenni nella piana tra i fiumi Tara e Lato.
Nel suo periodo di massimo splendore, la città bimare dovette però subire ai confini del territorio asservito al suo diretto controllo le pressioni bellicose esercitate dai Messapi e dai Lucani, che spinsero più volte i Tarantini a chiamare in propria difesa condottieri stranieri come Archidamo III, re di Sparta, Alessandro il Molosso, zio di Alessandro Magno, e infine il principe spartano Cleonimo.
Nei primi decenni del III secolo, infine, il territorio pedemurgiano che si affaccia sullo Jonio fu lungamente interessato dallo scontro tra Taranto e gli alleati Peuceti contro Roma, dalle operazioni militari di Pirro e delle legioni romane, sino alla sottomissione di Taranto nel 272 a.C.
Nel III secolo si registrò una generale instabilità nel territorio, conseguente al processo di romanizzazione, alla costante pressione operata dalle popolazioni indigene e alle tensioni provocate dalla venuta di Pirro in Italia. Il numero degli insediamenti abitativi infatti diminuì sensibilmente. Entro i primi decenni del secolo, si registrò il declino soprattutto dei villaggi fortificati come, per l’appunto, il sito di Dolcemorso.
Molto probabilmente, dunque, la città fortificata posta sull'alta ed isolata collina mottolese dovette rappresentare tra il IV e il III  secolo a.C. uno dei centri più importanti dello schieramento strategico a difesa del territorio e della chora di Taranto. Nel 1817 all’interno del perimetro murario medievale di Mottola  vennero ritrovate quattro colonne scannellate munite di capitelli jonici e una lastra con epigrafe greca appartenenti a un tempio dedicato a Demetra, dea greca dell’agricoltura. A partire dal 1881, nel corso della edificazione dei nuovi palazzi del borgo ottocentesco, sono testimoniati i ritrovamenti dei frammenti di mattoni, tegole, embrici e dei ruderi di modeste abitazioni della Mottola classica, nell’area  che va dalla chiesa ex cattedrale fino al palazzo municipale.
Estese necropoli d’età greca vennero ritrovate nel corso dell’800 e del ‘900 nelle contrade Patrella, San Vito, Porcile-Canamazza, S. Maria delle Grazie, poste ai piedi della collina e a brevissima distanza dalla acropoli fortificata. I ritrovamenti funerari confermano una consistente presenza umana  sulla collina anche dopo l’arrivo di Roma. Infatti, molte tombe d’età romana furono scoperte nelle contrade San Vito, Patrella, Serzola, Sant’Angelo, Verrucola, anch’esse prossime al centro abitato.