IL castello di svevo

Ultima modifica 5 maggio 2020

Testo di Sergio Natale Maglio - © Tutti i diritti riservati

Alla morte dell’ultimo sovrano normanno Guglielmo II di Sicilia, il Mezzogiorno d’Italia passò  per successione dinastica alla casata sveva degli Hohenstaufen. Con essi Mottola visse un momento molto favorevole; i documenti storici attestano il ripetuto affidamento del suo feudo ad alcune tra le più alte personalità della corte sveva, a conferma del lustro di Mottola in questo periodo storico e della notevole importanza rivestita dalla città collinare nella strategia politica e militare della casata imperiale. Così, al ripopolamento della cima della collina fece seguito la costruzione del nuovo castello, verso la fine del XII secolo, all’altezza della attuale piazza Plebiscito, che segnò un limite più arretrato rispetto alla antica cerchia muraria classica per l’edificazione delle nuove mura medievali della città.
Questo castello era una notevole costruzione fortificata in muratura, pienamente in linea con la evoluzione delle strategie difensive e costruttive utilizzate nel Basso Medioevo. Essendo completamente in muratura, la terminologia dell’epoca lo designava ancora come “castrum”.
Il “certificato di nascita” del maniero sembra essere rappresentato dal listello di mazzaro che attualmente si trova murato nel retroprospetto della facciata della ex cattedrale di Mottola, immediatamente sopra la porta laterale sinistra di ingresso. La interpretazione della iscrizione (CV. FILIO HENRICO REGE SICILIE HOC OP. COS. AN.- segue un numero illeggibile - P. I.), sembra attestare che la curia urbana - ovvero il governo della città – abbia eretto il castello all’epoca in cui Enrico VI, figlio dell’imperatore Federico Barbarossa, divenne re di Sicilia, vale a dire tra il 1194 ed il 1197.
Qualche decennio più tardi, nel 1214, il nuovo castrum mottolese ricevette il battesimo del fuoco, venendo conquistato e saccheggiato dal conte di Fondi Riccardo d’Aquila. Se ne faceva menzione nello Statutum de reparatione castrorum del 1241-1246, nel quale erano elencate le località che dovevano assicurare il restauro e la manutenzione delle fortezze di Federico II; esso assegnava la manutenzione del castello mottolese alla curia urbana, al clero e al barone di Mottola.
Di fatto, il castello non ha mai ospitato alcun feudatario mottolese. Il suo disegno più antico e leggibile è rappresentato da uno schizzo prospettico, riportato in una planimetria territoriale dei possedimenti della Badia di Cava dei Tirreni nel territorio della cittadina e nei centri vicini, che venne redatta presumibilmente tra il 1548 ed il 1551.
La fortezza, incastonata nella nuova fortificazione muraria che cingeva il centro abitato, sulla cima della collina, corrispondeva all’intero isolato che è attualmente delimitato a est da via Muraglie, a sud da Largo Rosario, a ovest da piazza Plebiscito e a nord da via Canonico Putignano. Essa viene minutamente descritta nell’apprezzo redatto nel 1652 dal tavolario Onofrio Tango, in occasione della  vendita del feudo dal marchese di Mottola al duca di Martina.
Subito dopo l'entrata, nell’attuale vico Castello, sulla destra vi erano un cortile, una stalla ed una legnaia a cielo aperto, quindi un locale coperto dal quale si accedeva ad un grande deposito ed alle stalle coperte per i cavalli, e ancora alla cucina di due stanze. A sinistra, rispetto all’ingresso, si trovavano alcuni magazzini e il pozzo della cisterna con l'abbeveratoio. Per una scala scoperta si accedeva al primo piano ad un quartierino di quattro stanze e una loggetta coperta da tetti lignei e tegole, quindi ad un altro appartamento più signorile con una sala più ampia e altre tre camere con volta a botte in pietra. Dalla sala si ascendeva alla torre, che ospitava a un primo livello tre piccole stanze, e a un secondo livello altre due camere, prima di arrivare sulla cima, "dalla quale si gode lontani paesi, città, terre, territori piani, colline, et la marina".
Successivamente, l’edificio è stato suddiviso e utilizzato per abitazioni e per una taverna. Oggi di quel castello vi è ben poco di visibile, se non il suo perimetro, alcune murature a scarpata che si affacciano su via Muraglie, talune strutture portanti, lacerti murari e scantinati. La sua distruzione si è consumata  progressivamente, nel corso dell’età moderna e contemporanea.  Le ultime strutture murarie di una certa consistenza sono state sacrificate nel 1956, per permettere la costruzione di un mercato coperto, laddove oggi è un parcheggio all’aperto, e delle palazzine con abitazioni  private che si affacciano su vico Castello e largo Rosario.