IL Casino del duca – Casa della Contessa

Ultima modifica 7 maggio 2020

Testo di Sergio Natale Maglio - © Tutti i diritti riservati

Alla fine del Settecento la masseria di San Basilio, già descritta nel suo nucleo originario nell’apprezzo del 1626, era diventata una “grande casa di campagna”, secondo la definizione del viaggiatore svizzero De Salis Marschlins, che vi incontrò nel 1789 il duca Francesco III e la ottantenne madre Isabella d’Avalos d’Aquino d’Aragona. Era infatti il cuore della grande azienda seguita direttamente da Francesco, che dal 1770 risiedette a lungo a San Basilio potenziando e ingrandendo la grande masseria.
Successivamente, tra il 1818 e il 1825 venne sistemata e allargata la Strada Regia che conduceva da Bari a Taranto e che passava nei pressi della masseria. Maria Argentina, ultima duchessa Caracciolo, promosse nei decenni successivi altri interventi migliorativi sul forno, i mulini e la panetteria del complesso rurale, oltre al restauro della grande cappella. Il 13 gennaio 1859 il marito vedovo Riccardo di Sangro accolse il re Ferdinando II, la regina Maria Teresa e il principe ereditario Franceschiello, che si stavano recando a Bari per accogliere la diciassettenne consorte di Francesco, Maria Sofia di Wittelsbach, sorella minore della celebre Sissi di Baviera. Il corteo reale fu accolto per il cambio dei cavalli a San Basilio, dove per l’occasione era stato eretto un arco trionfale di stile dorico con epigrafi. A salutare i reali c’erano il marchese Sozi Carafa, Intendente della Provincia d’Otranto, moltissimi sindaci e autorità locali insieme ad una folla straripante di oltre quattromila persone, provenienti da tutte le cittadine limitrofe, che si erano accampate per tre giorni nei poderi della casa ducale.
Nell’immediato periodo post-unitario anche la masseria assistette agli eventi sanguinosi del brigantaggio filoborbonico. Il fatto di sangue più terribile si verificò il 15 ottobre 1862, quando la banda di Antonio Lo Caso da Abriola (Pz), detto U’ Craparijd, dopo aver fatto razzie e bagordi nella masseria Belvedere si era trasferita nella taverna di Basiliola, prossima alla grande azienda. Nella taverna c’erano alcune guardie nazionali e guardiaboschi, che furono immediatamente disarmati. Giuseppe Catucci, un ex soldato borbonico che abitava a masseria Specchia, a causa di vecchie ruggini e rancori personali accusò la guardia nazionale Antonio Semeraro e il guardiaboschi Alfonso D’Eredità di aver calpestato alcuni giorni prima un ritratto dell’ex re Francesco II di Borbone. Di conseguenza, i due furono barbaramente accoltellati, fucilati e il cadavere di Semeraro venne anche bruciato.
Ulteriori interventi di ammodernamento della masseria furono effettuati  tra la fine dell’Ottocento dal duca Placido, il quale dopo il suicidio del figlio Riccardo soggiornò lungamente a San Basilio, presso il monumento funebre che aveva fatto costruire. Nei primi decenni del Novecento fu la volta della contessa Maria Spinelli di Scalea, moglie di Placido, nipote ed erede del duca. Oltre a far costruire stalle, cisterne, case coloniche e rimodernare gli interni, si adoperò soprattutto per l’abbellimento della struttura. La gentildonna fece infatti realizzare nell’atrio diverse balconate, scale, vasche e cisterne decorate. Così come Casa Isabella, anche la masseria ducale venne dotata di uno splendido giardino all’italiana e prese il nome di “Casa della Contessa Spinelli de’ Marsi”.  
Essendo morto Placido senza figli nel 1911, i suoi beni e titoli nobiliari passarono al nipote Riccardo (* 4-4-1889 + 16-1- 1978), primogenito del figlio Giuseppe e di Maria Guevara Suardo (* 10-2-1867 + 10-11-1931). Quest’ultima era nipote di Carlo Filangieri, ultimo premier del Regno delle Due Sicilie prima dell’impresa dei Mille. Il padre di Carlo era Gaetano Filangieri, uno dei massimi teorici meridionali del Settecento della abolizione del feudalesimo, venerato da intellettuali di tutta Europa come Johan Wolfgang von Goethe e  da  Napoleone Bonaparte, che amava consultare e ispirarsi al suo testo La Scienza della legislazione.
Riccardo nel 1919 sposò Oliva “Vivina” Lanza (* 3-2-1893 + 7-3-1970), dalla quale ebbe un figlio e si separò dopo pochi anni. La moglie riassumeva nel proprio albero genealogico alcune delle più importanti casate della storia del Mezzogiorno. Il padre di Vivina era il siciliano Giuseppe, conte di Mazzarino. La madre  era Luisa Sarah Ruffo dei duchi calabresi di Bagnara, col trisnonno fratello del tristemente famoso cardinale sanfedista Fabrizio Ruffo. Vivina era anche zia di Gioacchino Lanza Tomasi, musicologo tra i massimi studiosi del teatro d’opera e del melodramma contemporaneo, che era stato adottato dal suo lontano cugino Giuseppe Tomasi di Lampedusa, autore del celebre romanzo Il Gattopardo.
Riccardo, ultimo duca di Martina, intraprese la carriera militare, diventando aiutante in campo del principe ereditario Umberto II. Nella parte finale della Seconda Guerra Mondiale e nell’immediato dopoguerra, la sua grande masseria di san Basilio venne utilizzata nel settembre 1943 dapprima dagli ufficiali  tedeschi della 1° Fallschirmjager Division, successivamente da quelli della 1st Airborne Division inglese, le cui truppe si accamparono insieme a quelle scozzesi e neozelandesi nei boschi di Burgensatico e Lamacupa. Ospitò quindi gli uffici del 2° Corpo d’Armata polacco che si era insediato nella zona, al comando del Brigadiere Generale Marian Roman Przewłocki. In particolare, dal maggio 1945 sino al giugno 1946 fu la sede della 317a Compagnia Trasporti Ausiliarie polacche che provvedeva al trasporto di vettovaglie, carburanti, alimenti, vestiario, medicinali, ricambi per autocarri ed autoveicoli, etc. ai centri di addestramento militare polacchi del Salento.
Nel dopoguerra Giuseppe, unico figlio del duca Riccardo, morì nel 1958 in un incidente automobilistico. Da quel momento Riccardo  si dedicò soprattutto a progetti di filantropia artistica e culturale e risiedette per lunghi periodi dell’anno nelle sue proprietà mottolesi. E’ stato quello l’ultimo periodo di splendore del Casino del Duca, che durò sino al 1978, anno del decesso di Riccardo. Alla sua morte  il grande patrimonio di famiglia, che era passato pressoché intatto in quasi quattro secoli di storia feudale attraverso le grandi casate nobiliari Caracciolo e De’ Sangro, venne frantumato e polverizzato dai suoi eredi, gli aristocratici siciliani Lanza di Mazzarino, i quali preferirono vendere tutte le proprietà e gli antichi possedimenti ducali, compreso il  secolare complesso di San Basilio.
Per espressa volontà testamentaria di Riccardo, il titolo onorifico di duca di Martina non venne attribuito ad alcuno degli eredi. L’ultimo duca donò al comune di Martina Franca, nel 1978, la parte più consistente e storicamente rilevante del  grande Archivio Caracciolo - de’ Sangro, la “Sezione Antica” che conserva i documenti delle due casate tra la metà del XIV secolo e l’inizio del XX secolo, fino ad allora conservati a Casa Isabella.
Essendosi estinta con Riccardo la linea maschile dei duchi de’ Sangro, la sua discendenza proseguì in quella femminile, con i pronipoti di Riccardo, i nobili Notarbartolo e Monticelli Obizzi. Si deve proprio alla nipote Maruska, che era particolarmente legata all’ultimo duca di Martina, la decisione di donare alla città di Martina Franca tutte le restanti carte delle famiglie Caracciolo e De’ Sangro, anch’esse conservate a San Basilio presso Casa Isabella. Così, per disposizione testamentaria di Maruska Monticelli Obizzi, nel 1998 fu trasferita al Comune di Martina Franca anche la “Sezione Contemporanea” dell’Archivio, con tutta la documentazione dalla seconda metà del XIX secolo alla prima metà del XX secolo.